Dopo la ricercata acusticità di "Black Pudding" e la più canonica parentesi alternative country di "Imitations", Mark Lanegan torna sulle tracce di "Funeral Blues", che giusto un paio d'anni fa mescolava singolarmente e (tutto sommato) piacevolmente la sua voce da whisky e sigarette, cavernosa e roots, ma persa in un tenebroso profondo nord (che magari rimpiange i deserti dell'Arizona), con nostalgiche e fantasiose sonorità elettroniche, sospese tra la new wave anni '80 e il trip hop anni '90 (qui ancor più accentuate, se possibile). Ma se "Funeral Blues" sembrava giocare anche sull'idea di uno stordente e diabolico immaginario sud, da cremagliera per l'inferno (più che da ascensore), qui sono le onde elettromagnetiche di una lontana e fantomatica radio a richiamare con ipnotica insistenza le anime sperdute, direttamente dal regno dei morti.
Lo aiuta in questa sua ennesima "fatica" il polistrumentista Alain Johannes (tastiere, chitarra, basso, e non solo), con il quale il vocalist della scuola di Seattle aveva già lavorato per la "stesura" (appunto) di "Funeral Blues" (sono loro due in sostanza la Mark Lanegan Band). Tra rock e pop, minimalismo "leggero" e folk, sfumate venature dark e "artigianali" drum machines, "Phantom Radio" scorre con la medesima fluidità, senza mai sorprendere davvero, e però senza nemmeno deludere. Tra le dieci tracce della versione non deluxe, "I Am The Wolf" è probabilmente l'episodio più interessante, con Lanegan dalle parti del miglior Leonard Cohen, non trascurando, a degna chiusura, la più altisonante, riconoscibile e dalle maligne tastierine quasi giocattolo (che John Carpenter non disdegnerebbe) "Death Trip To Tulsa". Solito cavaliere oscuro. (Marco Maiocco)