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Rock Recensioni PEARL JAM - Lightning Bolt
 

PEARL JAM - Lightning Bolt PEARL JAM - Lightning Bolt Hot

PEARL JAM - Lightning Bolt

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Artista
Titolo
Lightning Bolt
Anno
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A quattro anni da “Backspacer”, i Pearl Jam tornano con un album spiazzante. Quattro anni sono un lungo intervallo di riflessione per cui nel bellissimo mini-documentario, che si pone come evoluzione della logica anti-videoclip, ci si chiede cosa sia successo. Rispetto al passato, i testi sono meno tormentati, ma trasmettono ancora l’energia dell’emergenza comunicativa che si espande fino a diventare universale. Ci si misura con la delicatezza di ballate intime e profonde: “Sirens”, il secondo singolo, regalato ai fan a settembre, è perfetta ed emozionante mentre “Future Day” è costruita sulla melodia di una tastiera tanto dolce da somigliare a un piano; ma l’inizio è fulminante.

Si parte con “Get Away” – discendente di “The Fixer” – per passare a “Mind your Manner” – un pezzo punk veloce come una saetta, che si colloca dalle parti di “Spin the Black Circle” e forse non dispiacerebbe a Juliette Lewis. L’amore per il vinile torna esplicitamente nel garage sporco e trascinante di “Let the Records Play” facendoci ricordare la jam in cui Eddie aveva sostituito Jim Morrison per un paio di cover. E se i primi versi di “Swallowed Whole” sembrano riprendere la doorsiana “Not to Touch the Earth”, la concezione ecologica riverbera nel ritmo vagamente indiano di “Yellow Moon” (e forse è la stessa luna che si rifletteva sul cofano di un’auto Camaro in “Wishlist”). La gamma sonora dimostra la flessibilità delle band e chiarisce gli eclettici panorami musicali che hanno ispirato i membri della band in più una carriera più che ventennale: “Infallible” non sarebbe sfigurata nella scaletta di “Mirror Ball”, splendida collaborazione con Neil Young (1995), mentre i brani veloci svelano l’ammirazione per i Ramones. I vecchi schemi restano, rinnovandosi; e così mentre Stone Gossard si cimenta al bongo e Jeff Ament prova la bowed guitar con un risultato affascinante e ipnotico, Mike McCready riesce ancora a fare un assolo di chitarra senza risultare anacronistico e il produttore Brendan O’Brien ri-arrangia “Sleeping by Myself”, già apparsa in “Ukulele Songs” (2011) e offre qualche piccola sorpresa. “Lightnig Bolt” è complesso ma allo stesso tempo tanto coeso da essere il primo nella storia della band ad avere una title track. Si tratta di un disco è ricco, fatto d’introspezione e di stop & go magistrali. (Elena Colombo)

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