Nella cultura tuareg le donne sono le depositarie della scrittura e interamente responsabili dell’educazione dei figli, e sono considerate alla stregua di vere e proprie guardiane della storia, della cultura e del popolo. Non solo, nei kel o clan, l’unica unità sociale di riferimento per questo quasi leggendario, anche guerriero, popolo nomade dell’Africa settentrionale, la trasmissione ereditaria o discendenza avviene per via materna, ovvero sia in senso matrilineare. E proprio alle donne in genere e a quelle tuareg in particolare, in riferimento soprattutto al ruolo determinante che rivestono in questa mobile e (oggi più di ieri) provvisoria società, e al fatto che in questi anni di tribolazioni, siccità e venti di guerra civile che hanno coinvolto e sconvolto quelle comunità, sono state come sempre le prime a pagare, è dedicato questo splendido terzo album dei Tamikrest, gruppo tuareg di lingua tamashek proveniente dal Mali nord orientale, ancora una volta magistralmente prodotto da Kris Eckman dell’europea Glitterhouse.
Un album intenso e vibrante costruito sulla consueta ed ancestrale emulsione di desert rock (sempre più vintage e ruggenti le chitarre elettriche che lo caratterizzano) e scale pentatoniche, ritmi incalzanti e squarci di profonda intimità, melismi arabeggianti e canti antifonali, che qui sembra trovare una sorta di definitivo e sontuoso compimento. Un genere musicale che da quelle parti chiamano “la guitare”, a definire il momento nel quale blues, elettricità, ritmi e voci della tradizione trovano il modo di raggiungere un’equilibrata e armoniosa concordanza. Un compimento, dicevamo, già evidentemente custodito nella splendida foto di copertina, vera e propria dichiarazione d’intenti, che ritrae il meraviglioso e magnetico volto di una “donna in blu” dagli occhi fieri e malinconici, rappresentazione di un’intera condizione esistenziale attraverso un “semplice”, anche se sapientemente calibrato, scatto fotografico. Steve McCurry e la sua celebre ragazza afgana, dal languore asciutto dei suoi persi occhi azzurri, ne sarebbero senz'altro favorevolmente colpiti. Un’immagine che è la sintesi di un intero progetto, sentito omaggio di un “alleanza” (questo il significato di tamikrest) di “uomini liberi” (gli imohag), come si definiscono i tuareg, la cui denominazione (lo ricordiamo) appartiene agli arabi, che li chiamavano “uomini senza Dio” (tuareg, appunto), e alle loro donne libere (almeno vogliamo crederlo), le chatma o sorelle in italiano; e al coraggio, con il quale portano da sempre il peso di un’antica tradizione, proprio come l’unica donna di questo assieme, l’appassionata cantante Wonou Walet Sidati, dalla consapevole ed emozionante voce berbera. Da non perdere. (Marco Maiocco)