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Rock Recensioni RYAN ADAMS - Gold (Lost Highway 2001)
 

RYAN ADAMS - Gold (Lost Highway 2001) Hot

ImageNegli anni ’90 il mondo musicale statunitense ha conosciuto, parallelamente all’effimera esplosione del grunge, alla rinascita del punk-pop e all’avvento del post-rock, un recupero della propria tradizione musicale. Questo movimento, sotterraneo ma non troppo, ha pescato qua e là le ovvie ed inevitabili influenze, dal folk-rock al country più ortodosso, dal cosiddetto blue-collar rock al folk più intimista, per arrivare ad una multiforme definizione di quello che viene definito dai più Alternative Country o, con un curioso neologismo, Americana. Le caratteristiche peculiari di questa sottocultura musicale vanno ritrovate nella simpatia per le classiche tematiche individuali, ma spesso anche in una certa nostalgia per la Depressione degli anni ‘30.
Dopo un certo numero di dischi e di nomi fuoriusciti da questo contenitore, all’interno del quale si possono collocare Will Oldham e le sue mille maschere, Black Heart Procession, 16 Horsepower, Edith Frost, Walkabouts, Wilco con e senza Billy Bragg, Drunk, Songs:Ohia, Grant Lee Buffalo,  Vic Chesnutt, Lambchop e mille altri, sembra venuta l’ora di tirare le somme di questa esperienza. Il disco di Ryan Adams, a partire dalla copertina, con bandiera statunitense rovesciata sullo sfondo e t-shirt da ragazzino alternativo, sembra voler riassumere in sedici canzoni gran parte degli ultimi anni di questo “genere”, racchiudendo in sé soul, blues, Dylan e rock cantautorale anni ‘70. Già nel disco precedente il leader dei Whiskeytown aveva dato prova di saper scrivere ottime melodie abbinandole a una produzione pulita ma non sintetica, sapendo così rispecchiare le esigenze di purezza e di continuità che il passato, anche il più prossimo, richiede. Questa volta il risultato raggiunge livelli di eccellenza. Basta ascoltare una qualsiasi delle canzoni che compongono Gold, magari un paio di volte, e risulta arduo non rimanere rapiti dall’immaginario che offre. Sebbene più rockettaro di altri suoi contemporanei, Adams riesce a mettere d’accordo nostalgici di Springsteen, di cui sembra sotto più aspetti la nemesi anni ‘90, fans dei Rolling Stones e aficionados del country e del folk. La sua antologia di quanto gli Usa hanno prodotto musicalmente negli ultimi quaranta anni non può risultare innocua agli occhi di chi segue con passione quel mondo. Può non piacere, ma mi sembra difficile. Anzi, impossibile. (Giacomo Calamari)

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