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Ma quei giornalisti sono maestri nella creazione e distruzione di miti effimeri, e quindi è plausibile decidere di evitare, con grande stima dei propri gusti e capacità di valutazione, un disco che a partire dalla copertina sembra fare di tutto per ricreare un’atmosfera da Factory di warholiana memoria. Oltretutto questa “next big thing” sembra composta da un plotone di esecuzione dell’armata di Calvin Klein: totalmente asserviti al revival estetico dello stile del 77, appaiono effettivamente più un gruppetto di modelli pronti a spezzare i cuori di qualche giovane adolescente brufolosa piuttosto che dei nuovi Lou Reed o Richard Hell. I pezzi stessi a un primo ascolto risultano inaccettabili fotocopie di un qualsiasi Jonathan Richman primo periodo, degli Stranglers depunkizzati, dei Television senza la sorpresa che furono venticinque anni fa e tanti altri archetipi weberiani della new wave e del power pop a stelle e strisce. Tant’è, a un ascolto un pochetto più accorto le melodie escono fuori, le chitarre non sono le solite acustiche e nemmeno quelle distorte che negli anni ‘90 hanno imperato, l’atmosfera che ricreano è veramente quella del primo punk, quello originario, della New York di fine anni ’70, e i pezzi passano, e il cd riparte… Ebbene sì, ci sono cascato ancora una volta… (Giacomo Calamari)