Se le leggi non scritte della musica ci insegnano che il secondo album è sempre il più difficile per un artista, 21 di Adele rappresenta una splendida eccezione. Undici tracce che costituiscono un lavoro organico in cui si intrecciano hit singles come la celebratissima e suonatissima Rolling In The Deep (in vetta alle playlist di radio, mainstream e non, di tutta Europa), brani dall'atmosfera più intima, soul ballads e la perla finale Lovesong, azzeccatissima cover dei Cure. Un album la cui genesi, a stessa ammissione dell'artista, fu difficile e per nulla fluida. Ci volle un cuore infranto (la fine della sua relazione con l'ormai ex fidanzato) per aprire gli argini ad un lavoro che porterà a un risultato finale magnificamente VERO. Quello che stupisce subito è la trasversalità di questo disco che mette d'accordo "indie junkies", amanti dei classici, liceali e chi compra dischi in base alla Top 20 del mese. Questo accade solo con quegli album che lasciano respirare il germe del talento artistico e riescono a dare alla produzione un ruolo importante ma non prevaricante. E' chiaro che il pluri-osannato Rick Rubin non sbaglia mai un colpo, ma i protagonisti di 21 per fortuna rimangono la ragazza britannica e il suo modo di esprimere parole e musica. Il grado di maturità e di esperienza, le capacità compositive interpretative e il talento a 360° che risultano da questa produzione fanno intendere che di artisti completi come questi a soli 22 anni oggi se ne contano ben pochi. In mezzo a un panorama di voci femminili fatto di echi vintage artefatti e insipidi, Adele rappresenta una delle poche artiste post-Winehouse che possa portare degnamente lo scettro delle atmosfere black oggi tanto ricercate quanto raramente trovate. (Beppe Croce)
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