Un paio di anni fa l’enigmatico “Love Kraft” segnava la chiusura del trittico inciso per la Sony e l’allontanamento dei SFA dagli obblighi e dalle imposizioni della major label. Persi in partiture prog-folk e più vicini al sound di Beck che alla loro personalità acquisita nel tempo, era inevitabile un momento di riflessione. Giusto il tempo di qualche apparizione solista del leader Gruff Rhys (un paio di discreti album solisti) con la firma di un nuovo contratto per la Rough Trade, per la loro ottava fatica discografica ci regalano l’album più pop ed elegante della loro ormai lunga carriera. Semplici, essenziali ed efficaci nello stesso tempo riescono a sfiorare il pop perfetto ed a riappropriarsi della propria vena artistica. La tracklist scorre come una lieve e piacevole pioggerella di fine stagione: ci invita con lo scherzo di ‘The Gateway Song’ poi ci introduce ad un paio di nostalgiche ballate quali “Runaway” e “Show Your Hand” pubblicate anche su singolo. Dopo le splendide pennellate melodiche di “The Gift That Keeps Giving”, si riassaporano le antiche tonalità dei lavori passati: l’incalzante “Neo Consumer” e “Into The Night”, risaltano come due autoritratti che sembrano appena usciti dai loro primi lavori, mentre l’ipnotica “Baby Ate My Eightball” ci riporta all’epoca di ‘Guerrilla’. Ma i SFA sono anche una perfetta macchina del tempo, spostata la lancetta all’epoca del sound degli early seventies con “Carbon Dating” e soprattutto con “Battersea Odyssey”, ci traghettano in quegli anni con incredibile fedeltà. Maturità e classe allo stato puro dunque per un album che ci invita alla sua scoperta ascolto dopo ascolto. Produzione impeccabile e gli splendidi arrangiamenti orchestrali ancora incastonati da Sean O’Hagan (ex frontman dgli High Llamas) questa volta sono il valore aggiunto e contribuiscono a dare maggior lustro a questo eccellente lavoro. Bentornati cari Superfurries! (Ennio Trost)