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Rock Recensioni POLYPHONIC SPREE – The Fragile Army (Good Records – Gut 2007)
 

POLYPHONIC SPREE – The Fragile Army (Good Records – Gut 2007) Hot

ImageDevo dire che me lo aspettavo. Le avvisaglie emerse dal loro EP “Wait” pubblicato una manciata di mesi prima di questo lavoro, indicavano un probabile cambio di rotta per la multibanda dei ragazzi capitanati da Tim Delaughter, frontman indiscusso dei Polyphonic Spree. Non tanto per il brano scelto per l’anteprima, “Mental Cabaret”, tanto per il resto dell’EP dove troviamo il gruppo alle prese con alcune covers (scomodando addirittura i Nirvana). Se in “Together We’re Heavy” l’impatto dello scoppiettante esordio “The Beginning Stages Of…” risultava in parte sbiadito e suonava più come un duplicato non riuscito alla perfezione, il talentuoso Tim ha così ben pensato di stravolgere la struttura musicale per la composizione di questa nuova opera. Ridotto l’organico ad una ventina di elementi ma svestiti dalle loro meravigliose tuniche da hippies (che nostalgia) in favore di una specie di divisa come a rappresentare un pacifico esercito musicale, la band di Dallas si disfa anche delle sonorità “larghe” che ne hanno caratterizzato gli esordi ed allinea il proprio new look al new style.


Delaughter si appropria della forma-canzone per ottenere un album più asciutto, a tratti rockeggiante (“Get Up And Go”) a tratti teatrale (“The Fragile Army”; “Watch Us Explode (Justify)”), ma immediato, brani che non superano i 4 minuti alla ricerca del pop perfetto, il tutto condito comunque con il marchio di fabbrica degli Spree. Non mancano infatti i fiati, gli archi, il cantato corale femminile (un pò troppo marcato e continuo), ma se ne evidenzia chiaro l’utilizzo a posteriori e, per scelta, solo allo scopo di arricchire la struttura degli arrangiamenti. Dimenticati gli intro larghi e maestosi, i crescendo degli archi corposi ed i fiati penetranti per concentrare lo spazio sull’essenziale lavoro della band elettrica a questo punto la divisione in sezioni dell’album perde il suo senso in quanto viene dissolta la forma ‘concept’ (nonostante i consigli delle note di copertina). La portante di questo album infatti, è in assoluto la linea tracciata dalla canonica rock-band e la produzione enfatizzata e compressa nei suoni del giovane ma preparato John Congleton ne esalta i tratti riuscendo in ogni caso a dare continuità allo Spree Sound. Nell’insieme dunque un album da subito piacevole all’ascolto, folto di brani di discreto livello (“Younger Yesterday” su tutti) ma nessun picco emotivo (scordiamoci una nuova “Soldier Girl” per intenderci), che sicuramente aiuterà la band ad aggiungere al loro esercito nuovi adepti, ma che in alcuni fans della vecchia guardia farà emergere una punta di rimpianto. Con questo lavoro, Delaughter potrebbe aver messo le basi per una ulteriore riduzione della band a 5 o 6 elementi o addirittura per una carriera solista… le premesse ci sono tutte. (Ennio Trost)

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