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Rock Recensioni PENTANGLE - The Time Has Come 1967-1973 (Castle 2006)
 

PENTANGLE - The Time Has Come 1967-1973 (Castle 2006) Hot

ImageUn bel cofanetto dedicato a un bel gruppo rappresenta una tentazione irresistibile. Se a ciò si aggiunge il ritorno d’interesse per tutto quanto è folk (ambito ‘cult’ s’intende, Mollica e Luzzatto Fegiz non ne sono al corrente) è facile immaginare come il quadruplo “The Time Has Come” diventi un acquisto quasi doveroso per gli appassionati di suoni acustici e ‘tradizionali’. Il periodo è quello dei primi sei storici album dei Pentangle, quando le chitarre di Bert Jansch e John Renbourn inventavano il blues barocco, la voce di Jacqui McShee evocava la verde Inghilterra rurale e la ritmica di Danny Thompson e Terry Cox dava un tocco jazz all’insieme. Si parla dunque di musica affascinante e importante. A ciò va aggiunto che le 50 pagine del libretto a cura di Colin Harper (il biografo di Bert Jansch) sono al solito ben scritte e piene di notizie poco note. Tuttavia il risultato non è del tutto soddisfacente. I primi due cd raccontano la storia ufficiale del gruppo con una buona scelta di brani da tutti gli album del periodo (oltre che dai dischi solisti di Jansch e Renbourn) rimpolpata da qualche nastro per la Bbc già ascoltato altrove, da pezzi usciti solo su singolo (“Cold Mountain” e “Travelling Song”) e, come episodio saliente, da “Poison”, proveniente dalla prima seduta di registrazione del quintetto. Il brano, caratterizzato da una chitarra elettrica assente nelle altre incisioni del periodo, verrà inciso e pubblicato due anni dopo da Jansch nel suo album “Birthday Blues”. C’è poi la delusione storica rappresentata da “Tam Lin”. Della più celebre ballata scozzese a tema magico è ben nota la fenomenale e monumentale versione elettrica dei Fairport Convention, mentre quella dei Pentangle, cantata su una diversa melodia e registrata nel 1971 per uno sceneggiato televisivo (oggi si dice fiction) intitolato appunto “Tam Lin”, restava oggetto elusivo e favoloso. Purtroppo, ciò che abbiamo a disposizione oggi è un collage nemmeno troppo ben connesso delle diverse sezioni del brano utilizzate come commento alle immagini.

Come a dire che l’atteso derby folk Pentangle-Fairport Convention non si può neppure giocare. Buffa invece “The Best Part Of You”, sempre incisa per “Tam Lin”, con il gruppo in improbabile veste bubblegum. Il terzo dischetto è occupato da quella che è la parte live del secondo album “Sweet Child”. I brani sono 19 come nell’ultima pubblicazione su cd del disco, ma la sequenza dei brani è stata cambiata, gli intermezzi parlati sono stati omessi, così come gran parte degli applausi. Se gli intenti di questo nuovo assemblaggio risultano nebulosi, il risultato è surreale, ovvero un disco registrato in pubblico con il pubblico quasi sempre assente (e poi era così bella quell’introduzione: “Ladies and gentlemen… The Pentangle!). Il cd più attraente per i fan è il quarto, tutto composto di tracce inedite. C’è una “Pentangling” dal vivo (anno 1970) di quasi venti minuti con gli assoli prolissi tipici del periodo (notevoli comunque le parti elettriche nel finale) e una “Wondrous Love” incisa insieme all’ensemble di musica antica guidato da David Munrow (presente anche in “Anthems In Eden” di Shirley Collins). “The Furniture Store” e Christian The Lion” sono di nuovo frammenti registrati per la colonna sonora di uno sceneggiato televisivo, curiosi e nulla più. Per il resto si ascoltano versioni di brani provenienti soprattutto dagli ultimi dischi del gruppo recuperate da programmi televisivi del periodo. Salvo una “Reflection” un po’ più estesa, l’effetto è quello suscitato da album come “Live At The BBC” e “The Lost Tapes”: belle stesure pochissimo diverse rispetto agli originali di studio e per tale ragione non troppo significative.
Alla resa dei conti, chi voglia accostarsi per la prima volta ai Pentangle farà bene a da album come “The Pentangle”, “Basket Of Light” e “Cruel Sister”, mentre chi conosce bene il quintetto preferirà riascoltare nella loro integrità quei capitoli così importanti nella storia della musica piuttosto che le loro note a pie’ di pagina. Ma forse il problema sta proprio nella natura dei cofanetti: i capitoli importanti di una storia vengono per forza di cose condensati e le note a pie’ di pagina sono utili ma sempre un po’ noiose. (Antonio Vivaldi)

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