Ogni volta che si nomina Chuck E. Weiss l’accostamento immediato è all’amico e sodale Tom Waits: in effetti i due, dopo essersi conosciuti a Denver nel 1972, hanno abitato sotto lo stesso tetto del Tropicana Motel di Los Angeles (l’hotel dove Van Morrison scrisse l’album “T. B. Sheets” e dove nell’ottobre del 1970 era stata trovata morta Janis Joplin) e hanno scritto insieme una delle più belle canzoni di “Nighthwaks at the diner”, “Spare Parts I (A Nocturnal Emission)”; quanto importante fosse la loro amicizia è anche dimostrato da una canzone, contenuta nel primo album di Rickie Lee Jones, all’epoca compagna di Waits, dal titolo “Chuck E.’s in love”, dedicata proprio al musicista che alla fine degli anni ’60 aveva iniziato la sua carriera musicale con Lightnin' Hopkins e altri personaggi del calibro di Willie Dixon, Muddy Waters e Dr. John.
E’ però riduttivo e ingeneroso catalogare Weiss come un semplice epigono del più celebre amico: i tre soli album incisi in quasi quarant’anni di carriera (“The Other Side of Town”, “Extremely Cool”, “Old Souls & Wolf Tickets”) e questo nuovo “23rd & stout” sono lì a dimostrarlo. Certo i tratti in comune ci sono come si può evincere da “Prince minsky’s lament”, brano che potrebbe saltar fuori da “Rain dogs”, ma il funky di “Sho is cold”, il divertito gospel a cappella di “Man tan”, le reminescenze bluegrass di “Piccolo pete“ o il finale rock ‘n’ roll di “Goodbye so long” di Ike Turner (l’unico altro brano non originale del disco è “Primrose lane”, un successo country-rock di Jerry Wallace), esprimono un’energia e un impeto genuino che contribuiscono a fare di questo disco una delle più piacevoli sorprese di questo fine 2006. (Danilo Di Termini)