Non fatevi "ingannare" dalla copertina (per così dire) montanara di questo lavoro, che, data la provenienza di un paio dei componenti il Din Dùn Trio, potrebbe richiamare immediatamente gli elevati e antichi pascoli che incoronano e imperlano le sommità delle "nostre" misteriose valli occitane, o anche (forse più propriamente) l'estesa pianura piemontese, che d'inverno raccoglie e accoglie le mandrie che l'alta montagna per forza di cose respinge. Qui non siamo di fronte a un semplice disco di matrice folklorica o popolare (del resto non ci sarebbe niente di male, ovviamente), e nemmeno siamo alla prese con una delle tante e possibili, spesso entusiasmanti, mediazioni popular del ricco e profondo bagaglio della tradizione. Il piemontese Din Dùn trio ripropone (certo) materiale tratto dal vasto repertorio popolare del Piemonte, estrapolato dalle storiche ricerche etnomusicologiche di studiosi seri come Costantino Nigra, Leone Sinigaglia e Giuseppe Ferraro, ma in una chiave decisamente innovativa, inusuale se non altro, contemporanea, sperimentale, a tratti davvero geniale, colta, intrisa del fuoco sacro della ricerca. Angelo Conto (pianoforte), Alessandra Patrucco (voce) e il catalano Marc Egea (ghironda e flauti) si muovono come funamboli e con tutta la positiva tensione che questo comporta, pur esprimendosi con leggerezza, su un'aerea e impervia cresta sospesa tra l'accademia, anche quella più libera e "irriverente", la narrazione e la formulaicità popolare, e lo scavo jazzistico, quello dedito soprattutto alla ricerca di un risultato sonoro, di un puro e personale suono (progressivamente disvelato, demiurgicamente controllato), e al tuffo abbandonato e vorticoso in un'improvvisazione imprevedibile e radicale (anche se in questo senso si sarebbe potuto osare di più). Tutta questa ricchezza culturale ed espressiva, questa complessità e consapevolezza linguistica, vengono restituite con grande immediatezza, attraverso una musica suggestiva, emozionante, elegante, molto piacevole, anche rilassante, che in nessun momento, e senza indulgere nella condiscendenza, perde di vista l'umanità, l'autenticità, la tenerezza e la melodia del canto popolare, da cui (in questo caso) scaturisce. Straordinaria la voce di Alessandra Patrucco, flautata, morbida, malleabile, evocativa, drammatica, dall'ampio registro estetico; sorprendente l'uso della ghironda da parte di Marc Egea, capace di prodursi in complicati soli (come suonasse una viola o un qualche strumento etnico a corda) su uno strumento "diabolico", solitamente ingestibile, poco intonabile, e in genere "semplicemente" adatto a produrre una sorta di magico, riverberante, "basso continuo", o forse (nel caso della ghironda) sarebbe meglio dire bordone armonico; sapiente la conduzione al pianoforte di Angelo Conto, musicista raffinato, dalle ampie vedute, in profondo equilibrio fra più linguaggi, sulla cui guida esperta si poggia l'intero progetto. Coraggiosi. (Marco Maiocco)
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DIN DÙN - Majin
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