Benvenuti su Deimos, uno dei satelliti di Marte! In questo disco le atmosfere sono granitiche, desertiche e stoner proprio come sotto il “Red Sun” dei migliori Kyuss. Federico Olia al basso e Andrea Parigi alla batteria sono sinonimo di suoni cupi e ritmo serrato, ma c’è di più. La voce di Fabio Speranza si stacca dai clichè del genere per arrivare a vette emotive impensate, dove riecheggiano i blues di Jim Morrison, ricchi di pause suggestive. Durante il lungo bridge di More heavy for a big tornado ti ritrovi ad aspettare di scoprire se la tua casa sarà trasportata nel Paese di Oz (un ironico incubo a la Josh Homme) o nella grotta di uno sciamano indiano. Piccoli cammei strumentali, sospesi come nuvole, alleggeriscono il muro sonoro: boccate d’aria leggera che fanno pensare alle filastrocche mistiche di Eddie Vedder in Vitalogy. E poi l’ultima traccia, Gulp me down, ti spedisce di nuovo in un abisso, con l’introduzione di David Lenci che per un attimo fa sospettare una collaborazione con Mark Lanegan. Resta ancora qualche piccola incertezza, ma la sonda spaziale della band genovese è partita e promette tante scoperte esaltanti. (Elena Colombo)
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TEMPLE OF DEIMOS - Temple Of Deimos
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