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Miscellanea Articoli miscellanea INTERVISTA A CLAUDIO DONDO: La seduzione di un nuovo passato
 

INTERVISTA A CLAUDIO DONDO: La seduzione di un nuovo passato INTERVISTA A CLAUDIO DONDO: La seduzione di un nuovo passato

runes oLa seduzione di un nuovo passato:
alla (ri)scoperta dei Runes Order

Quattordici splendidi lavori. Oltre trent'anni di attività. Numerose collaborazioni di alto livello. Esoterismo in musica, radicale e orgogliosa estraneità rispetto al vuoto arrogante della realtà contemporanea. Una ricerca – musicale e non solo – decisamente 'altra' rispetto al mondo che ci circonda. Tutto questo e molto altro sono i Runes Order, la creatura del genovese Claudio Dondo (già con i Wiegen Den Toten, nel 1987). Atmosfere e ritualistiche e industriali (con sintetizzatori, nastri pre-registrati e le percussioni metalliche, alla Einsturzende Neubauten) sono il marchio di fabbrica di un dark ambient rumorista e personalissimo, fatto di ambientazioni sonore oscure ed originali, frutto di un uso estremamente intelligente e colto dell'elettronica. La tecnologia si pone nei Runes Order al servizio di un percorso artistico raffinato e creativo, che ricorre spesso e volentieri a improvvisazioni, senza troppe sovraincisioni di sorta. Nel tempo, il progetto di Claudio – una one man band, di fatto – s'è evoluto in direzione di una nuova e aggiornata forma di kraut rock, con suoni cosmici e spaziali, nella tradizione inaugurata da Tangerine Dream e Klaus Schulze, Hawkwind e Faust. Impronta ed ispirazione sono sempre state e rimangono letterarie e storico-filosofiche, con gli occhi della mente rivolti al simbolismo magico della tradizione indoeuropea ed alla mitologia nordica e germanica. Lo stesso nome scelto, del resto, dice tutto o quasi. Un atteggiamento spirituale assai prossimo a quello dell'ur folk industriale italo-tedesco ed inglese: una scena tutt'oggi floridissima, tra le perle dell'underground. Anche l'Ordine delle Rune può esservi non certo a torto accostato, se non altro per la fredda marzialità delle ritmiche, squadrate e geometriche, a cui si aggiunge una decisa propensione siderale e futuristica, astrale e cibernetica. Come se il caos, in cui l'essere umano odierno si trova costretto a vivere, venisse matematizzato – maestri in questo sono stati i Killing Joke – e rimodellato, attraverso alchimie soniche di particolare e ragguardevole levatura musicale, dotate di lunare e tenebrosa luminosità, mistica ed astratta a un tempo. I Runes Order hanno principiato il 2019 con un nuovo lavoro, dal titolo quanto mai emblematico: Fase XIV. Ne abbiamo parlato con Dondo, che – oltre che grande artista, nel senso vero e pieno del termine – è persona assai gentile e disponibile. Ne è venuta l'intervista che segue, davvero ricca di stimoli e spunti sui quali riflettere con la dovuta attenzione.
dondo1) Claudio, che cosa rappresenta Fase XIV nel tuo percorso di musicista e di uomo?
Il nuovo disco è il risultato di quasi dieci anni di composizioni, cominciate nel 2000 circa. Quasi vent'anni di vita. Ad un certo punto, ho trovato il filo rosso che unisce, tra loro, i brani, e quest'ultimo è rintracciabile nel kraut rock più cosmico. Fase XIV è, inoltre, una celebrazione, in musica, di uno dei generi che amo di più: l'elettronica, tedesca e non solamente. Un modo per continuare a dire quanto io sia legato a Tangerine Dream, Klaus Schulze, Cluster, Harmonia, La Dusseldorf, Neu e primi Kraftwerk. Colgo l'occasione per ringraziare amici quali Marcello Valeri – al quale devo le parti parlate del primo brano di Fase XIV – ed Elisabetta Nasuti, autrice di quasi tutta la grafica ufologica del disco. Ispirazione e tematiche di Fase XIV devono a loro non poco, in effetti. Saluto altresì Regen Graves, chitarrista degli Abysmal Grief.
2) Oramai diversi anni, fa Brian Eno disse che fare musica – elettronica, ma non solo – è dipingere un paesaggio, un paesaggio in movimento. Sei d'accordo?
Sì, sono decisamente d'accordo. Anche io dipingo, con le atmosfere, creando immagini coi miei suoni, spesso e volentieri immagini desolate e assai malinconiche, in passato anche orrorifiche. Anche e soprattutto il fatto di creare queste atmosfere mi aiuta a trovare, nella musica, quello che vorrei rinvenire nei dischi d'altri artisti ma sovente senza riuscirci.
3) Come costruisci l'architettura dei brani che vanno a comporre i lavori dei Runes Order?
In generale, parto da un'improvvisazione, cercando di creare un tipo di sensazione da dare all'ascoltatore, poi sovrappongo strati di suoni, in una maniera progressiva – nel senso indicato dal classico prog rock – avendo cioè già in mente quello da far fare agli altri musicisti. Per fare un esempio: sento le chitarre anche se non ci sono ancora, anche se nella registrazione verranno inserite dopo.
4) Che cos'è l'elettronica per te? E in quale rapporto si può porre a tuo avviso con l'universo rock?
Per me, l'elettronica è, primariamente, la sensazione che danno i suoni analogici. E mi piace sia ascoltarli, sia generarli. D'altra parte, rimango un tastierista. L'elettronica può essere poi molte cose: un piccolo orpello, un abbellimento, oppure può essere un qualcosa di importante e di portante. Pensiamo al suo impiego in ambito prog, come prima dicevo. Amo il tecnicismo che non è fine a se stesso, gli assoli alla Genesis, l'elaborazione di strutture musicali complesse.
5) Il nome del tuo progetto rimanda alla grande tradizione nordica e pagana... I titoli dei vostri dischi, coerentemente, sono non poco fieri e battaglieri...
Fino ad un determinato periodo, i lavori dei Runes Order erano legati ad un certo tipo di letture e di ideali, di estrazione pagana, poi hanno preso una piega più vicina a situazioni cinematografiche. Final Solution è stato un concept sulla violenza insita nell'animo umano. Anche Disco nero ha affrontato, tramite il medium della musica, situazioni legate alla sociopatia. Esploro lati oscuri attraverso la musica, potrei dire così.
6) Immagini orrorifiche – penso alla citazione da La casa dalle finestre che ridono (1976) di Pupi Avati – paiono nutrire parte almeno del cosmo abitato dai Runes Order... In generale, quali sono i tuoi punti di riferimento in ambito cinematografico e culturale? Cosa ti piace leggere e quanto la tua cultura va a incidere sulla proposta musicale dell'Ordine delle Rune?
Da sempre, sono un fanatico di thriller italiani e di fantascienza anni Sessanta-Settanta, comprese le colonne sonore. Adoro l'immaginario gotico italiano espresso dal cinema di allora. Le mie letture riguardano specie la musica, che continuo a seguire anche su libri e riviste. Amo moltissimo il binomio musica-cinema, quindi il maestro John Carpenter – quanto ho ascoltato Fuga da New York e The Fog! – i Goblin, Bruno Nicolai, Nico Fidenco. Altra mia passione sono i libri da cui sono stati tratti film. In proposito, Shining resta un capolavoro assoluto, un gioiello. Il mio battesimo con un certo tipo di cinema avvenne da piccolo, quando in campagnia vidi da solo La casa dalle finestre che ridono. Un film che mi ha segnato. Poi, penso a Zeder, sempre di Avati naturalmente, nonché a Pet Cemetary, di nuovo tratto da Stephen King. Né mi vergogno minimamente a dire che sono un estimatore del porno italiano anni Settanta (in passato, ho suonato anche nei Moana). Apprezzo in particolare Aristide Massaccesi, un grande regista. Altro autore a cui sono legato è Pasolini, grande e come artista e como uomo: non è poco essere odiato da tutti e rimanere se stessi. Infine, tre attrici: Kate Winslet – in particolare in The Life of David Gale – Anne Hathaway e Gillian Anderson: vedevo per lei X Files, che poi ho imparato ad apprezzare, veramente una splendida serie di argomento cospirazionista.
7) Quale è la tua formazione musicale e cosa ti piace ascoltare? So che apprezzi anche un certo black metal... Nella fattispecie, cosa cerchi nella musica, tanto del passato quanto del presente?
Musicalmente sono cresciuto con ciò a cui sto tornando: disco music e heavy metal. Insomma, Iron Maiden e Giorgio Moroder. Poi, grazie alla mia prima ragazza, al mio primo amore, scoprii il panorama dell'industrial alla Throbbing Gristle. Ed il dark-post punk, stile Joy Division, così come la new wave di Soft Cell e Simple Minds. La ragazza in questione era legata ad un nome storico dell'underground genovese, The Tapes. Risale a lei tra l'altro la mia conoscenza diretta del synth: ne possedeva infatti uno. Quando loro hanno smesso, si può dire che abbia iniziato io: una sorta di passaggio del testimone. Quanto poi al black metal, apprezzo davvero molto Burzum, Darkthrone, e i Venom: fantastici, come pochi. In generale, nella musica cerco le atmosfere, qualcosa che mi faccia viaggiare e pensare. E – perché no? - anche ballare. Il movimento è in fondo sfogo ed espressione del corpo, vita.
8) Dai tuoi tanti lavori emerge e si fa strada una notevole ricerca timbrica. Prediligi suoni analogici o digitali? Che cos'è il suono per te?
Diciamo che al 98% preferisco suoni analogici, anche perché posso crearli io a mio piacere e gusto ed inoltre perché posso variarli. Del digitale apprezzo l'uso del computer come registratore dalle infinite possibilà. Non ho mai usato però la tecnologia del pc per corregere errori o altro. Mi chiedi del suono: il suono è il sesso per me, qualcosa di profondamente fisico e corporale.
9) Da poco è uscito anche il secondo capitolo degli Star Matter, l'altra tua band, intitolato, in maniera molto significativa, Medioevo 2.0. Ce ne vuoi parlare, illustrandone brevemente i contenuti al pubblico dei lettori?
Si tratta di una collaborazione con l'amica Alex De Siena e con il produttore Giovanni Indorato. Giovanni, in sostanza, plasma il suono. Il progetto è nato da una forte componente di amicizia, poi concretizzatasi in una perfetta simbiosi, e artistica e chimica, una sorta di erotismo musicale. Alex è un ex dj, ha lavorato nei circoli musicali di Amsterdam; pensa che i suoi gruppi preferiti sono Amebix, Genesis e Pooh. Tutti gruppi che ci legano. Perché apertura e versatilità sono basilari. Del resto si ascolta musica anche in base allo stato d'animo del momento.
10) Quali sono i tuoi progetti futuri?
Sotto un certo punto di vista, quasi potrei dire che vorrei non averne più. Mi chiamano infatti il Robert Smith della musica elettronica. Ora, più seriamente, mi sento di poter affermare che non amo ripetermi o citarmi in maniera autoreferenziale, cosa che detesto negli altri, una trappola nella quale non intendo cadere. Di certo, amo moltissimo le collaborazioni con musicisti a me affini, alle quali sono e resto sempre aperto. Ricordo – giusto a mo' di esempio – che ho lavorato tra gli altri con Abysmal Grief e Kirlian Camera. Perché è davvero divertente e stimolante suonare cose non tue, che ami senza averle necessariamente composte.

a cura di Davide Arecco

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