“Come ci si sente a essere soli / senza una casa cui tornare / come perfetti sconosciuti / come una pietra che rotola?”. Si può tranquillamente escludere che Bob Dylan, nel 1965, scrivendo questi versi avesse in mente il panorama musicale del 2009. Ma non di meno suonano adatti a descrivere la deriva che una ultra produzione di dischi e “fenomeni” ha determinato negli ultimi anni.
Escono un sacco di bei dischi, pochissimi però capaci di unire sotto l’ombrello delle proprie canzoni grandi masse di appassionati. Pochissimi capaci di rappresentare un momento, a futura memoria.
La conferma, piccola ma sostanziale, sono le classifiche di fine anno che arrivano da amici e passanti alla bacheca virtuale di Disco Club: è un’impresa individuare un titolo che vada oltre i due/tre consensi. Le liste rispecchiano i gusti personali, come deve essere, ma fotografano anche una situazione di estrema frammentazione: mi piace il folk / il metal / il jazz / il vecchio rock? Bene, i miei dieci dell’anno confermano la mia scelta, scendendo sempre più in profondità ma senza contribuire a un (passeggero forse inutile, certo interessante) gusto comune. È stato un anno di ritorni: Antony da sorpresa è passato a sicurezza, Morrissey ha pubblicato l’ennesimo disco di Morrissey, i Black Heart Procession sono tornati al passato, Dylan pure, Sophia, Mark Lanegan, Lisa Germano, Dinosaur Jr. … certo non artisti che, nel 2009, hanno regalato la loro opera definitiva. Eppure sono questi i nomi che popolano le playlist. Cosa significa? Difficile dirlo e forse ozioso soffermarcisi troppo. Tuttavia qualche conclusione vale la pena azzardarla. In fondo siamo a fine anno.
Il primo dato certo è la confusione in cui sono precipitate le case discografiche cosiddette “major”, un tempo regine del mercato. Nuovi nomi sempre più rari, ristampe a volontà di tutti i generi e casi (costano meno e vendono sicuro), cofanetti a Natale e poco altro. Il 2009 se lo sono aggiudicato, certamente dal punto di vista del bancone di DC, le, ancora cosiddette, “etichette indipendenti”: Franz Ferdinand, Arctic Monkeys & C. oramai fanno notizia e pubblico ad ogni mossa, “Merrywater Post Pavillion” degli Animal Collective è disco dell’anno per Mojo, Uncut e Pitchfork, marcato stretto da Dirty Projectors e Grizzly Bear, la triade cerebrale del nuovo indie rock/pop, e continua la riscoperta di suoni andati come lo shoegaze, il folk antico e via arpeggiando.
Il secondo dato è semplice: dal caos nasce spesso qualcosa di nuovo. Perdere la strada per un attimo può farne trovare una migliore dietro l’angolo. Insomma, in attesa di una direzione, e scusandoci per i devastanti luoghi comuni, noi continuiamo ad ascoltare dischi, e cerchiamo anche di raccontarli. Dove, lo sapete. Buon anno.
La Redazione
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DISCHI DELL'ANNO DI DISCO CLUB
2002 JOHNNY CASH - The Man Comes Around
2003 HOWE GELB - The Listener
2004 NICK CAVE - Abattoir Blues/The Lyre Of Orpheus
2005 ANTONY & THE JOHNSONS - I Am A Bird Now
2006 TOM WAITS - Orphans
2007 RADIOHEAD - In Rainbows
2008 PORTISHEAD - Portishead