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Jazz Recensioni BILL FRISELL - Guitar In The Space Age
 

BILL FRISELL - Guitar In The Space Age BILL FRISELL - Guitar In The Space Age Hot

BillFrisell-GuitarInTheSpaceAge-CoverAbbiamo la sensazione che il passaggio di Bill frisell alla storica Okeh, per quanto riguarda le sue colte peregrinazioni folk e country rock, abbia coinciso da parte sua con l'elaborazione di un sound meno metafisico e astratto e decisamente più vintage e concreto. Sound che da una certa marziana e lontana (nel tempo e nello spazio) "freddezza" sembra essere sceso sulla terra e passato ad una maggiore veracità e ad una più accogliente e ironica luminosità country western. Ma in questo iper suggestivo "Guitar In The Space Age", che segue a circa un anno di distanza il precedente e apprezzato "Big Sur" (sempre edito dalla Okeh, appunto), in realtà è il progetto stesso a determinare una sorta di ritorno alla terra da distanze siderali, quasi come se si riavvolgesse un nastro, a contemplare tramonti di terra cotta invece che cieli di ghiaccio cristallo. Perché, a dispetto del titolo "ingannatore" (non della copertina), che ha la capacità di catapultare immediatamente in avanti, Frisell compie in realtà (qui) un vero e proprio viaggio nel passato, non rivolgendo (va da sé), come solitamente gli accade, lo sguardo verso il futuro, almeno direttamente (si intende). L'idea, infatti, appare quella di ricostruire o meglio di rievocare un clima, ovviamente tutto da reinterpretare alla maniera di Bill Frisell: quello degli anni '60 del '900, del beat, della psichedelia, e soprattutto dell'affascinante e avventurosa corsa allo spazio, ma anche di quel country o di quel pop più leggero, che nella seconda metà dei sixties, guardava giocosamente avanti, magari componendo musiche in onore dell'allunaggio o delle prime navigazioni cosmiche, contribuendo alla costruzione di un'ideale colonna sonora di quegli epocali avvenimenti. Pensiamo ad oscuri artisti, almeno per noi, tutti chitarristi ovviamente, che qui Frisell omaggia e ricorda come Duane Eddy, Merle Travis, Speedy West, Jimmy Bryant, Joe Meek, associandoli, in questa stralunata e divertente raccolta, ai campioni del beat o del surf rock (Byrds, Beach Boys, Kinks): i protagonisti di un'era di speranze, che poteva permettersi di pensare al futuro con entusiasmo e ottimismo. La sintesi di tutto questo è perfettamente rappresentata dalla copertina (come dicevamo), con quell'astronauta sornione in primo piano, un figlio dei fiori sui generis, che lì per lì sembra addirittura un motociclista da "easy rider". Lasciate da parte tutte queste impressioni, comunque da approfondire, l'album fotografa un quartetto (Bill Frisell, chitarra elettrica, Greg Leisz, pedal steel e chitarra elettrica, Tony Scherr, basso elettrico, Kenny Wollesen, batteria) in un stato di grazia pressoché assoluto, per coesione, eleganza, armonia e abilità. Frisell snocciola, come al solito, tutta la "mostruosa" padronanza, con la quale da sempre gestisce, custodisce e vivifica l'immenso patrimonio della musica popolare americana e dei suoi linguaggi (folk, country, blues, jazz, rock, e ramificazioni svariate). Con il concorso di Greg Leisz, che si conferma il solito poeta, raffinato tessitore di ammalianti "armonie da scivolamento", forma un intreccio di armonici che a tratti può davvero ricordare quello tra le chitarre di Roger McGuinn, David Crosby e Gene Clark nei caleidoscopici Byrds; mentre gli ottimi Scherr e Wollesen non si presentano certo come dei comprimari, ma anzi come parti attive e (diremmo) decisive del "discorso". Si ha solo il dubbio che i quattro potrebbero osare qualcosa in più, perché i detrattori del genio di Baltimora (stiamo parlando di Frisell naturalmente) forse potrebbero agevolmente denunciare il suo facile abbandono ad un semplice (ma solo in apparenza), accattivante easy listening, un po' fine a se stesso. Un'eventuale accusa che crediamo non possa stare in piedi, data la raffinatezza dell'operazione, la qualità profonda di queste rimeditazioni in musica, frutto anche di una conoscenza enciclopedica della materia, risultato di passione e ricerca; e però non ci dispiacerebbe registrare, proprio per fugare ogni incertezza, qualche maggiore slancio, adatto al coraggioso carattere sperimentale di una "chitarra nell'era spaziale". Ma, d'altronde, non siamo più nell'epoca della corsa allo spazio (oppure no): i soldi sono pochi, la luna è una semplice sfera di roccia, Marte è inabitabile e Alfa Centauri è comunque troppo lontana. Siamo, però, convinti che di tutto questo Frisell e "soci" siano perfettamente consapevoli, e che davvero si divertano, con un'abbondante dose di umorismo, a prendere in giro un po' tutti. "Mr. Spaceman" cantavano i Byrds. (Marco Maiocco)

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