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Jazz Recensioni CLAUDIO COJANIZ - The Heart Of The Universe
 

CLAUDIO COJANIZ - The Heart Of The Universe CLAUDIO COJANIZ  - The Heart Of The Universe Hot

CLAUDIO COJANIZ  - The Heart Of The Universe

Dettagli

Titolo
The Heart Of The Universe
Anno
Casa discografica
La copertina potrebbe essere quella di un disco degli Hawkwind; lo sguardo, quindi, come si evince anche dal titolo, è proiettato con curiosità e giocosa ironia nello spazio più cosmico, tra nebulose rossastre e scie luminose di astri morenti; il viaggio è quello alla scoperta della luna, metafora della grande meastra o progenitrice, l'Africa, da cui tutto nasce e tutto ritorna; la musica è quella di Claudio Cojaniz, pianista friulano schivo e coriaceo, classe 1952, tra i più ispirati e preparati (anche accademicamente) del panorama jazzistico italiano, certo non tra quelli più in vista (ma forse è meglio così), la cui concezione musicale è saldamente ancorata alla tradizione jazzistica più direttamente africana, per quanto sofisticata: Ellington, Monk, il Sud Africa di Abdullah Ibrahim le sue maggiori fonti di ispirazione (nell'album non manca, per altro, un sentito omaggio all'invitto per eccellenza Nelson Mandela). Questi gli ingredienti e i contrasti (quasi una dialettica tra gli elementi della terra e del fuoco e quello dell'aria) di un lavoro, nel quale Cojaniz torna a confrontarsi agevolmente con la dimensione del piano trio, banco di prova fondamentale per ogni pianista jazz, plasticamente accompagnato dagli ottimi "compaesani" Alessandro Turchet al contrabbasso e Luca Colussi alla batteria. In tutto nove piacevoli tracce, che scorrono fluidamente come facenti parte di un'unica suite, il cui filo conduttore risulta essere una sorta di narrazione con al centro il vagabondare di un bambino di nome Willy per sperdute lande siderali. Un paio di brani blueseggianti dall'incedere giubilante ("Captain F" e "Black and Groove"), due composizioni circolari dal classico stampo sudafricano ("A.P. Dance for Nelson Mandela" e "Great Spirit"), e due coraggiose incursioni nella lunare serialità schoenberghiana ("White Fire Schoenberg" e la monkiana, ma appunto anche webernianamente epigrammatica, "Willy/Webern"), tra i momenti più interessanti di un album colto e coinvolgente. Da ascoltare. (Marco Maiocco)

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