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Jazz Recensioni VIJAY IYER - Accelerando
 

VIJAY IYER - Accelerando VIJAY IYER - Accelerando Hot

VIJAY IYER - Accelerando

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Titolo
Accelerando
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Dopo l'acclamato "Historicity" (ACT, 2009), sorta di vero e proprio manifesto di un modo innovativo di concepire il piano trio nel jazz, il grande pianista newyorkese di origini indiane Vijay Iyer torna sul "luogo del delitto" e, sempre accompagnato dai superlativi Stephan Crump al contrabbasso e Marcus Gilmore alla batteria, imprime un'ulteriore accelerazione al suo personale modo di pensare l'interazione in siffatta combinazione strumentale. Eccezionale indipendenza tra le parti, a partire dal modello evansiano del piano trio, in un fittissimo strabiliante interplay che lascia davvero pochi punti di riferimento; straordinaria complessità ritmica, davvero al di là dell'umana immaginazione, sulla scorta, oltre che del portato culturale afroamericano, della lezione della musica classica indiana, della quale Iyer è autentico e profondo depositario; raffinata e puntigliosa ricerca armonica, come obbliga la nobiltà del miglior jazz; incredibile dispiego di qualità tecniche, sensibilità ed espressività. Queste le caratteristiche di un piano trio perfettamente inscritto nella tradizione che lo ha preceduto ed allevato e al contempo capace di portare avanti il discorso in un modo spesso sorprendente, inglobando le più disparate suggestioni e presentandosi come una sorta di melting pot tra un colto linguaggio jazzistico, "derive" pop, pianismo nordico ed echi di "tradizione" indiana. Come nel precedente "Historicity" costituiscono "Accelerando" una serie di brillanti composizioni di Iyer, alcune rivisitazioni di "standard" composti da grandi della storia del jazz come Henry Threadgill e Duke Ellington, e qualche cover di brani appartenenti al mondo del popular più sofisticato (vedi i Flying Lotus). Come (di nuovo) avvenuto in "Historicity" - in cui spadroneggiava un'entusiasmante versione di "Dogon A.D.", celebre brano del sassofonista chicagoano Julius Hemphill - anche qui Il cuore dell'album risiede nell'intensa e serrata riproposizione di "Little Pocket Size Demons" firmata da un altro grande fiatista dell'avanguardia chicagoana (Henry Threadgill appunto), che i tre trasformano in un intricatissimo e stilizzato gioco ritmico - capace anche di valorizzarne meglio il contenuto tematico - vero e proprio "tour de force" di rollinsiana memoria, per l'altissimo coefficiente di difficoltà. Un terzetto micidiale, forse il migliore oggi in circolazione. (Marco Maiocco)

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