Stampa
PDF
 
Jazz Recensioni HOLYWELL SESSION - Live in Oxford (Slam Productions 2007)
 

HOLYWELL SESSION - Live in Oxford (Slam Productions 2007) Hot

Image Spiegare in poche righe un concetto fondamentale come quello di avanguardia nel jazz non è operazione delle più semplici, ma questo bel disco ce ne offre l’estro. Ed è con un rapido, significativo esempio che tenteremo di approcciare materia così complessa e avvincente. Nel febbraio 1964 l’etnomusicologo austriaco Gerhard Kubik è in Camerun centrale per registrazioni “etnografiche” sul campo. In uno sperduto villaggio rurale fonofissa al volo il canto di una contadina che macina il grano con un pestello primordiale: eccezionale la complessità dell’intreccio ritmico con cui la donna si accompagna e allo stesso tempo lavora. Nell’ottobre 1936, invece, la cantante semiprofessionista Mississippi Matilda registra a New Orleans, accompagnata dalla chitarra del marito, il suo Hard Working Woman Blues. I due documenti sonori risultano, anche all’orecchio meno esperto, incredibilmente sinottici, speculari, quasi fotocopia. Il blues, lo sappiamo, è musica nera per eccellenza ed è l’unica forma musicale prejazzistica che nel jazz non si è esaurita ma al contrario ne ha costituito l’ossatura portante. Il jazz, dal canto suo, è musica mutante, costantemente in grado di adattarsi darwinianamente all’ambiente circostante, vivendo da sempre sull’incessante reinvenzione della tradizione: ovverosia un ricchissimo bagaglio culturale che, come visto, si perde nella notte dei tempi.

 

 

Quando, per precise ragioni storiche e sociali, già dal finire degli anni ’50, si sentì nel jazz l’esigenza di cambiare ancora una volta passo alla ricerca di un linguaggio che via via si allontanasse dal cogente reticolo delle funzioni armoniche e in seguito dalla modalità, quell’enorme patrimonio culturale non incorse in un depauperamento, ma trovò semplicemente nuove forme d’espressione. Ecco perchè quando ascoltiamo le profonde, ricche, sfaccettate sonorità dei grandi del free o dell’avanguardia, da Albert Ayler a Lester Bowie, da Archie Shepp a Muhal Richard Abrams, da David Murray a Hamiett Bluiett, è come avere a che fare con spettri sonori, grafici della scansione temporale in grado di sommare le diverse e successive stratificazioni stilistiche che hanno contraddistinto l’evoluzione della musica afroamericana negli Stati Uniti. Il violinista genovese Stafano Pastor appartiene a questa categoria di musicisti, a prescindere da una formazione classica, che certo non manca di farsi sentire e che lo rende senza dubbio più consapevole, e però tralasciata in favore dell’improvvisazione tout court, di un’esaltante strenua ricerca timbrica e di una mai doma intelligente duttilità. Come In questa Holywell Session, presa diretta di un concerto tenuto il 17 settembre 2006 nel celebre auditorium oxfordiano, che lo vede alle prese, perfettamente a proprio agio, con un quartetto britannico d’eccellenza e soprattutto con l’estemporaneità più sfrenata, tenuto conto che nessuna prova è occorsa prima dell’esibizione e che il quintetto suona insieme per la prima volta. E, invece, sono proprio l’intesa fra i cinque, il grande interplay, la meravigliosa tensione creativa, a colpire maggiormente. Cosa chiedere di più ad una musica del tutto improvvisata che sull’imprevedibilità, la creazione del momento costruisce se stessa? Tra free jazz, echi di swing, atmosfere mingusiane e un inconfondibile tocco british (sempre magicamente sospeso tra diverse formule espressive), il disco inanella una serie di tratti stilistici capaci di raggiungere un pubblico ampio e trasversale. Brilla l’inossidabile, ormai quasi rauca tromba di Harry Beckett, vecchia conoscenza del jazz e del jazz/rock inglese (quelle con John Surman, Ian Carr, Elton Dean sono alcune delle più illustri collaborazioni), sorprendono la padronanza di Steve Kershaw al contrabbasso e l’efficacia di George Haslam (sax baritono) e Richard Leigh Harris (pianoforte). Nel complesso uno splendido lavoro d’assieme supportato da una limpida, plastica produzione del suono capace di catturare al meglio la multidimensione dello spazio sonoro, evocandone in questo modo l’immagine. (Marco Maiocco)

{mos_sb_discuss:11}


Recensione Utenti

Nessuna opinione inserita ancora. Scrivi tu la prima!

Voti (il piu' alto e' il migliore)
Giudizio complessivo*
Commenti
    Per favore inserisci il codice di sicurezza.
 
 
Powered by JReviews

Login