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Se la copertina irresistibilmente parodistica non bastasse a dissuadervi dall’idea che questi, ormai attempati, signori siano stati lontani anni luce dalle accuse di satanismo che furono loro rivolte all’epoca, vi consiglierei la visione di una puntata di “The Osbournes”, la sit-com di MTV, dove un ballonzolante rimbambito coperto di tatuaggi si aggira per casa tra una selva di animali e familiari a dir poco bizzarri. Ebbene, il buon vecchio Ozzy ed i suoi soci sono stati una delle pietre angolari del grande edificio hard, e non solo. Dai rintocchi di campana e dai tuoni di “Black Sabbath”, il brano che dava il titolo al primo album, si dipana l’intera storia del dark, del doom, del gothic e del black. E anche buona parte di una certa new wave, quella dedita a sonorità più cupe, non può esimersi dal loro tributo. Per non parlare del metal che deve tutto ai riff granitici di Tony Iommi, qui protagonista dell’iniziale “War Pigs”, epocale cantilena per la voce stridula di Osbourne, ed alla pesantezza esasperante di “Iron Man”, dove la sezione ritmica di Geezer Butler e Bill Ward produce macigni ad ogni nota. Se le croci rovesciate e la passione per l’occulto di Ozzy e compagni hanno fatto scordare alla stampa dell’epoca l’assoluta mancanza di riferimenti satanici nei testi delle canzoni, non potremo invece dimenticarci del blues sulfureo ed impalpabile di “Hand of Doom” e della schizofrenia disperata dell’hit single “Paranoid”. Il simbolo della devianza rimane però, programmatico fin dal titolo, “Electric Funeral”, manifesto sonoro del gruppo, in cui le tipiche altalene vocali abbracciano le sassate chitarristiche del maestro di cerimonie Iommi, calate in una bara sonora plumbea e sinistra. Capolavoro senza epoca.
(Massimo Villa)