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I nostri preferiti Rock ROBERT WYATT - Rock Bottom (Virgin-Rykodisc 1974)
 

ROBERT WYATT - Rock Bottom (Virgin-Rykodisc 1974) Hot

Image Un disco di fronte al quale si resta indifesi. E dire che, come la copertina della ristampa su cd suggerisce, questo è un disco fatto d’acqua e perciò potrebbe evaporare in un attimo. Invece, da quasi trent’anni, “Rock Bottom” stupisce chiunque lo ascolti, compreso chi all’epoca della sua pubblicazione non era ancora nato. Un’opera inclassificabile, unica; un esempio di quel sacro graal a cui molti ambiscono: la musica totale. Quasi improponibile è qualsiasi termine di paragone, a parte forse il Tim Buckley di “Starsailor” per la struttura completamente “altra” dei suoni. Ma se lì vive la rabbia nei confronti degli elementi, quasi una prometeica ricerca del fuoco, qui si viene calati in una dimensione sospesa, prenatale e, ancora una volta, acquatica (“Sea Song”, ovviamente).

È vero, ci sono momenti in cui si addensa una certa cupezza, ma è la cupezza del sonno agitato, del sogno strano che, la mattina dopo, lascia solo una lieve traccia di sé.  Sei brani lunghi, incantatori, pieni di invenzioni, nati, quasi per caso, a Venezia (di nuovo l’acqua…) su una piccola tastiera e poi completati da Wyatt durante la terapia di riabilitazione seguita alla caduta che gli paralizzò gli arti inferiori. Se è vero, come sostiene Francis Bacon,  che la grande arte nasce inevitabilmente dalla sofferenza, è altresì vero che raramente l’elaborazione in chiave artistica della sofferenza è avvenuta in modo tanto sereno: “Sentivo che la perdita delle gambe avrebbe potuto regalarmi una nuova libertà”. Forse consci dell’irripetibilità della situazione, anche i collaboratori sembrano dare qualcosa in più: da Hopper a Frith, da Oldfield allo straordinario (e purtroppo scomparso) trombettista Mongezi Feza. (Antonio Vivaldi)

 

                                   

 

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