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Gli Smiths sono la formazione che ha dato voce definitiva al romanticismo pop, alla ricerca disperata del benessere attraverso l’affermazione di sé, un “sé” personale e diverso da tutti gli altri e allo stesso tempo condiviso e universale. La magia degli Smiths nasce dall’incontro di due sensibilità diverse, quella di Stephen Patrick Morrissey, istrionico cantante e raffinato autore dei testi, e quella di Johnny Marr, personalissimo chitarrista e autore delle musiche. Negli anni ’80 appestati dallo yuppismo e dal pop sintetico, i quattro di Manchester (insieme a Morrissey e Marr, Andy Rourke e Mike Joyce, rispettivamente basso e batteria) propongono qualcosa che va oltre la musica, un misto di chitarre tintinnanti, melodie memorabili ed esistenzialismo aggiornato, conditi con un’estetica affascinante e senza tempo. La stessa energia, lo stesso dualismo, che ha creato gli Smiths ha finito per distruggerli. In mezzo ad aspre recriminazioni e pettegolezzi infiniti d’incompatibilità, il gruppo si scioglie nel 1987 lasciando solo quattro album in studio, uno di essi (il migliore?) è The Queen Is Dead. Ognuna delle dieci canzoni del disco è un capolavoro. Ci sono alcuni dei pezzi più romantici di tutto il pop inglese (quello vero) come There Is A Light That Never Goes Out o I Know It’s Over, ci sono melodie talmente perfette che scollarsele dall’orecchio è semplicemente impossibile (Frankly, Mr. Shankly, Cemetery Gates) e riflessioni strane e profonde in cui di solito è difficile imbattersi nei tre minuti di un brano. C’è tutto il senso di tragedia lieve e commedia amara che solo un disco nella sua immensa miniatura riesce a regalare. C’è tutta la cultura “altra” che diventa, per solo mezzo della sua bellezza, importante ed immortale. (Marco Sideri)