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Dunque reminiscenze mod (più Small Faces che Who), punk e new wave associate a lontani ricordi di music hall e al pop barocco dei Walker Brothers (a cui è dedicata la bellissima e struggente “To The End”). C’è qualcosa di cinematografico in questo disco in cui i quattro musicisti assumono ruoli ben precisi e li fanno interagire: l’intellettuale Albarn, il tormentato Coxon, il frivolo James, il popolano Rowntree. Ne viene fuori una perfetta rappresentazione dell’Inghilterra e, in particolare, della Londra di metà anni ’90. Da notare poi che il disco appare in un momento importante: cresce il benessere e con esso la voglia di emergere, di farsi vedere, non importa se in una discoteca di Kensington o al Fringe Festival di Edimburgo. Manca poco alla nascita del britpop che produrrà gruppi come i Menswear, in copertina sul Melody Maker prima di aver imparato a suonare. I Blur invece sapevano suonare e sapevano comporre. Lo dimostreranno anche in seguito ma non saranno mai più perfetti come in “Parklife”. (Antonio Vivaldi)