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Il pregevole lavoro sul master elimina la “fangosità” del missaggio originale e restituisce al meglio la travolgente vitalità degli otto brani, a prescindere dal loro significato storico. Ben percepibile è l’urgenza creativa, la felice incoscienza collettiva di un gruppo di ventenni o poco più che stavano inventando un genere e forse lo sapevano, forse no. Il violino di Swarbrick e la chitarra elettrica di Thompson si inseguono, si sovrappongono, si scambiano i ruoli (Come All Ye, Medley), Sandy Denny canta antiche storie di orrore (Matty Groves) e magia (Tam Lin) con l’appassionata partecipazione di chi racconta cose drammatiche accadute il giorno prima. Ma il brano forse più bello è Farewell, Farewell, che, già dal titolo, trasforma la tensione in malinconia, quasi a voler spiegare che quello straordinario momento di grazia creativa non avrebbe potuto durare a lungo. E così sarebbe stato, anche se il successivo “Full House” riuscirà a mantenersi quasi allo stesso strepitoso livello qualitativo. La ristampa aggiunge la versione inedita, Sir Patrick Spens (con Sandy Denny al canto) e The Quiet Joys Of Brotherhood (poi incisa dalla Denny in un lavoro solista). (Antonio Vivaldi)