L’elettronica era il piatto del giorno per moltissimi e album come The Fat Of The Land dei Prodigy sembravano annunciare un futuro cibernetico oramai scontato. I Radiohead, con due dischi alle spalle (il generico esordio e l’ottimo The Bends), presero quella rivoluzione per le corna e riuscirono a cantarne il volto umano, spaventato dal futuro eppure sedotto irrimediabilmente dai suoni nuovi. Il risultato? Eccellente, sotto ogni punto di vista. Basterebbe il singolo apripista Paranoid Android, dieci minuti scarsi di isteria rock, per consegnarlo alla storia. E invece ogni singola canzone, ogni parola, è perfettamente calibrata, punto d’incrocio irripetibile tra tradizionale maestria e futuristica paranoia. In un equilibrio unico che difatti i Radiohead, come tutti gli altri, non sono più riusciti a ritrovare. (Marco Sideri)
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RADIOHEAD - OK Computer (Parlophone 1997)
RADIOHEAD - OK Computer (Parlophone 1997) Hot
Spesso i dischi “recenti” sono visti con un po’ di snobismo dalla critica musicale: lo status di capolavoro sovente si riserva ad album incisi in tempi lontani, capaci di emanare quel fascino irresistibile figlio di ispirazione, qualità e nostalgia. Non così per OK Computer, disco numero tre per i Radiohead di Oxford, e, già all’indomani della pubblicazione, osannato come un classico, e neanche un classico minore: solo qualche anno dopo, i lettori del mensile inglese Q l’avrebbero votato “miglior album della storia della musica” o qualcosa di molto simile. Il punto, come spesso accade è: “Perché?”. In fondo OK Computer è un disco di canzoni, originali per arrangiamento e solo occasionalmente per struttura, non certo rivoluzionario nella forma. Ma capace, e qui sta il punto, di cogliere con precisione chirurgica lo spirito dei tempi. Nel 1997 si parlava di macchine, quando si parlava di musica.
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