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I nostri preferiti Rock BONNIE “PRINCE” BILLY - I See A Darkness (Palace 1999)
 

BONNIE “PRINCE” BILLY - I See A Darkness (Palace 1999) Hot

ImageEsistono diversi strumenti per misurare la classicità di un artista. Uno è sicuramente la riconoscibilità. Affinché la riconoscibilità non diventi ripetitività occorre che l’artista-classico sappia evolversi nella continuità. Nel caso in questione, se si ascoltano in sequenza il primo, scheletrico, lavoro dei Palace Brothers (There Is No-One What Will Take Care Of You, 1993) e la recente, ben strutturata uscita a nome Bonnie “Prince” Billy (Lie Down In The Light), da un lato si distinguerà immediatamente il segno inquieto del pluri-identitario musicista di Louisville, Kentucky, dall’altro ci si renderà conto di quanto siano cambiati (diciamo finto-normalizzati) voce, suoni e arrangiamenti. Se tale premessa risulta del tutto inutile per i fan dell’artista (che in genere ne collezionano anche le molte uscite di contorno), per eventuali neofiti può essere interessante disporre di un punto di partenza affidabile all’interno di una discografia corposa. A tale riguardo il titolo di solito citato come opzione principe è I See A Darkness, prima uscita di lunga durata sotto la sigla Bonnie “Prince” Billy, non fosse altro perché la title-track ha avuto l’onore di essere interpretata da Johnny Cash (American III – Solitary Man, 2000).

In realtà il disco è di per sé tremendamente bello, dove tremendamente va inteso alla lettera per alcuni brani almeno, Nomadic Revery, Madeleine-Mary e Death To Everyone, tutte piuttosto destabilizzanti nella loro desolazione (e l’ultima quasi inascoltabile per ogni anima fragile) e al tempo stesso rese singolarmente attraenti da una limpidezza melodica che sembra poco legarsi a un personaggio all’apparenza tanto scombinato. Siamo qui in territori non lontani da quelli frequentati da Nick Cave e da David Eugene Edwards di 16 Horsepower, ma se il primo ha saputo spettacolizzare la propria luciferinità e il secondo ha deciso d’ingaggiare una personale battaglia sonica con il male in nome di un divino piuttosto terrificante, Oldham sembra voler dialogare con il proprio lato oscuro piuttosto che stranarlo o sfidarlo. Forse per questo gli riesce di essere, oltreché che cupo, anche delicato in Knocturne e in A Minor Place (che anticipa il suo avvicinamento al roots-rock degli anni successivi), sentimentale in Raining In Darling e onnicomprensivo in quello straordinario dialogo fra bene e male che si svolge lungo i versi di I See A Darkness (la canzone). E la versione originale non è da meno di quella dell’Uomo in Nero. (Antonio Vivaldi)

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