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BOB DYLAN - Bringing It All Back Home (Columbia 1965)
BOB DYLAN - Bringing It All Back Home (Columbia 1965) Hot
Di solito disco di transizione significa disco incerto. Significa anche disco in movimento verso il nuovo. “Bringing It Al Back Home” è normalmente considerato lavoro di transizione dal suono acustico a quello elettrico, ma non è per nulla incerto. Ed è anche un disco in movimento verso il nuovo, ma, per significativo paradosso, è inamovibile pietra miliare della musica moderna. Nel 1965 Dylan aveva ormai deciso di abbandonare i suoni e il ruolo che l’avevano reso famoso, ricevendo pesanti accuse di tradimento alla causa del folk e della canzone politica.Se il lavoro precedente (“Another Side Of Bob Dylan”) pur mettendo da parte il fervore sociale, restava in ambito acustico, “Bringing It All Back Home” è diviso fra parte elettrica e parte acustica. In realtà la divisione non è troppo netta (“She Belongs To Me” ad esempio è ben poco elettrica) e la cosa che più conta è una potenza espressiva capace di prescindere dal contesto sonoro. Ad esempio, in “Subterranean Homesick Blues”, Dylan sputa parole a tutta velocità, ma è chiarissimo quando dice “Non hai bisogno dell’uomo del tempo/ Per sapere da che parte soffia il vento”. Se in quelle tiratissime convulsioni elettriche chiude i conti con il proprio ruolo di ‘profeta’, nei sette minuti per voce e chitarra acustica di “It’s Alright, Ma (I’m Only Bleeding)” Dylan taglia corto con ogni speranza di cambiamento virtuoso della società e dipinge un mondo spettrale e in controtendenza rispetto a ogni possibile flower-power. Ma occorrerebbe anche analizzare bene classici come “Maggie’s Farm” e “Mr. Tambourine Man” e poi bisognerebbe parlare dell’immagine di copertina e poi, e poi… (Antonio Vivaldi)
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