Parlando dei Sebadoh, l’indicazione di titolo che vedete sopra funge solamente quale indicazione di gusto personale. È infatti difficile, se non impossibile, individuare un album che ben rappresenti l’essenza, ed il talento multiforme, del gruppo in una volta sola. I Sebadoh, più di altri, portano dentro una filosofia, un modo di intendere la musica e quello che la circonda (immagine, concerti, estetica) che, delle due l’una, o conquista o lascia totalmente indifferenti. Ma andiamo con ordine. I Sebadoh nascono come progetto casalingo e rumoroso alla fine degli anni ’80. Incidono su cassetta bozzetti di canzone, ora folk delicato ora collage di distorsione, all’insegna dello spontaneismo e della bassa fedeltà. Cominciano a guadagnare un seguito approdando, mano a mano che gli album e gli anni passano, ad una forma canzone più ordinata e diretta, che mai però abbandona l’apparenza dimessa e stracciata degli esordi.
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Rock
SEBADOH - Harmacy (Sub Pop 1996)
SEBADOH - Harmacy (Sub Pop 1996) Hot
Forti della penna sublime di Lou Barlow (già bassista dei Dinosaur Jr.), accanto al quale si schierano nel tempo Eric Gaffney, dapprima, e poi Jason Loewenstein come partner e co-autori, i Sebadoh pavimentano la strada per fenomeni a venire come il primo Beck che dell’approssimazione formale e dell’ispirazione melodica cristallina faranno la loro bandiera. È rock indipendente (americano) da manuale, quello dei Sebadoh: figlio di un passato hardcore eppure abbagliato dalla forza senza tempo della melodia pura. “Harmacy” riassume in sé ogni sfumatura del suono (anche se per la verità sono assenti i deragliamenti punk rock degli esordi) e, con una ballata incredibile come Willing To Wait, si guadagna il dubbio onore di rappresentare il gruppo nelle nostre pagine. (Marco Sideri)
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