Si sa che i Can sono un nome fondamentale per tutta la scena musicale contemporanea, dal serio rock indipendente di Jim O’Rourke all’elettronica ballabile di Fujiya & Miyagi. Tutti li citano, tutti ricalcano il loro groove ritmico che all’inizio pare quasi astratto e poi incapsula qualunque ascoltatore. Meno noto è che i Can fossero un gruppo apprezzato anche dal pubblico tedesco ‘generalista’ grazie alle canzoni incise per film e telefilm. Nel 1972, un loro concerto alla Sporthalle di Colonia, con tanto di giocolieri e acrobati, radunò diecimila spettatori e venne trasmesso dalla televisione tedesca. Considerazioni storiche a parte, tutti gli album incisi fra il 1968 e il 1974 meritano di essere ascoltati, anche se le nominations per il titolo di capolavoro vanno di solito a “Ege Bamyasi” e “Future Days”. Più acre, e a tratti ostile, il primo, più fluido, poetico (“Spray”) e persino sensuale (la title-track, “Moonshake”) il secondo.
Se per qualcuno “Future Days” ha il difetto di mettere troppo in disparte nel missaggio la voce di Damo Suzuki, è vero che l’album contiene un lungo episodio (venti minuti) di straordinaria bellezza quale “Bel Air”. Rispetto a molte altre prolisse e autoindulgenti ‘suite’ del periodo, qui le varie sezioni sono perfettamente articolate e scandite, dai lunari paesaggi d’apertura alle nubi che si addensano minacciose sino al finale apparentemente consolatorio. Non è certo che il titolo faccia riferimento all’assassinio di Sharon Tate per mano degli scagnozzi di Charlie Manson, anche se è inevitabile pensarlo. Ma forse non è nemmeno importante. (Antonio Vivaldi)
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