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Bauhaus, il jazz e la canzone
22 gennaio, ore 21.00

Sala del Minor Consiglio di Palazzo Ducale - Genova

A 90 anni dalla fondazione dello storico movimento artistico del Bauhaus, scuola di pensiero interdisciplinare fondata a Weimar nel 1919 tesa a superare la dicotomia tra arte e tecnologia, estetica e funzionalità, progettualità e realizzazione, Genova celebra con una grande mostra uno dei suoi più illustri esponenti, quell’Otto Hofmann che proprio sulla riviera del ponente ligure decise di passare gli ultimi 20 anni della propria esistenza. Così dal 16 ottobre scorso fino al prossimo 14 febbraio gli spazi del Palazzo Ducale della “Superba” ospitano una serie di opere pittoriche e non solo del grande artista di Essen: una rassegna di astratta geometria figurativa ad alto contenuto immaginifico. Gli anni della Repubblica di Weimar, primo tentativo di stabilire in Germania una democrazia liberale, nonostante le profonde difficoltà economiche in cui versa l’intera nazione uscita sconfitta dal primo conflitto mondiale, sono, almeno fino alla crisi del ’29 che apre la strada al nazional-socialismo, un periodo fecondo sul piano politico e culturale. A partire dalla redazione di una moderna e civile costituzione, è proprio in quel momento che trovano sfogo i più diversi fenomeni culturali, tra i quali il Bauhaus, la mitica “Scuola di Francoforte” dei filosofi sociali neo-marxisti Adorno e Horkheimer, e il primo audace e provocatorio Kabarett che certamente raggiunge le orecchie di personalità come Otto Hofmann e ne influenza l’operato.

E proprio in un omaggio al Kabarett tedesco degli anni ’20 e alla sua musica spregiudicata, quella che i nazisti in seguito definiranno “entartete” (degenerata), perché oltre tutto già profondamente intrisa di jazz e note afro-americane, è consistito venerdì sera uno degli eventi collaterali alla mostra di Otto Hofmann. ImageA celebrare l’”Entartete musik” sono saliti sul piccolo “altare” del Salone del Minor Consiglio di Palazzo Ducale, nell’occasione facente funzione di palcoscenico, il musicologo Michele Mannucci, storica voce di Radio Tre e narratore onnisciente della serata, la splendida cantante Simona Bondanza, tra le altre cose esperta germanista laureata in filosofia con una tesi su Martin Heidegger, e il pianista Dado Moroni, davvero in veste di ospite speciale, perché appena vincitore come miglior pianista del referendum top jazz 2009 indetto dallo storico mensile Musica Jazz. Sempre introdotti dalle puntuali e dotte dissertazioni di Mannucci, volte a ricostruire con fedeltà le atmosfere dell’epoca, la Bondanza e Moroni hanno con padronanza inanellato una serie di canzoni dei “roaring twenties” germanici e non solo, sfoggiando un’ottima intesa e rilevanti capacità interpretative. In particolare la Bondanza, cantante dalla spiccata personalità e dalle notevoli doti tecniche, abile nel calarsi profondamente in testi impegnativi e nello sfoderare un perfetto tedesco. Sono così passati in rivista brani come “Alabama Song” di Bertold Brecht portata al successo anche dai Doors, “Speak Low” di Kurt Weill, "La Ballata di Mackie Messer" (la famosa “Mack The Knife” da “L’ Opera da Tree Soldi”, diventata uno degli standard del jazz) sempre di Weill, “Lili Marleen”, la cui commovente melodia nella seconda guerra mondiale affratellò i soldati degli eserciti contrapposti, e tanti altri ancora. Uno spettacolo emozionante, ben pensato, preparato e realizzato che ha letteralmente catturato l’attenzione del folto pubblico presente in sala. Un utile e intelligente opera di divulgazione. (Marco Maiocco)

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