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Jazz Recensioni TRACANNA/OTTOLINI/CECCHETTO/DALLA PORTA/FUSCO - Acrobats
 

TRACANNA/OTTOLINI/CECCHETTO/DALLA PORTA/FUSCO - Acrobats TRACANNA/OTTOLINI/CECCHETTO/DALLA PORTA/FUSCO - Acrobats Hot

TRACANNA/OTTOLINI/CECCHETTO/DALLA PORTA/FUSCO - Acrobats

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Titolo
Acrobats
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Una frase di Giorgio Caproni, il malinconico e al contempo stentoreo grande poeta livornese, fa da cornice e pretesto a questo riuscito lavoro ad opera di un quintetto d'eccezione, guidato dall'ottimo sassofonista post-coltraneiano (tenore e soprano) Tino Tracanna, livornese anche'egli. La citazione recita così: "Ho provato a parlare. Forse, ignoro la lingua. Tutte frasi sbagliate. Le risposte: sassate.". E se anche il sommo Caproni considerava di non riuscire a esprimersi adeguatamente, forse è meglio dedicarsi solo a suonare avranno pensato Tracanna e i suoi compari, tutti e quattro noti e brillanti esponenti del ricco panorama jazzistico italiano. D'altronde la musica è un linguaggio, anche estremamente forbito in chi sappia riprodurre nella gestione della successione dei suoni le pacate volute di un colto, argomentato e puntuale eloquio o le infervorate e appassionate denunce, ovviamente non prive di logica e lucidità, di chi abbia ragione da vendere. Questo, almeno, dovrebbe essere (tra le altre cose) il jazz, e i cinque musicisti in questione dimostrano di esserne perfettamente consapevoli. Cresciuto musicalmente nelle formazioni di Franco D'Andrea, la cui arte pianistica, tra le molte attività, ha illuminato per un quinquennio la musica del Perigeo (intorno alla metà degli anni '70 forse il più importante gruppo di jazz-rock italiano e non solo), in questo "Acrobats" Tino Tracanna raggruppa una serie di riuscite e divertenti composizioni, che sono splendida sintesi tra le diverse fasi della storia del jazz e la contemporaneità dei giorni nostri. Una "mescola" nella quale rivivono i fantasmi di Trummy Young (ma anche la spregiudicatezza sperimentale del contemporaneo Gianluca Petrella), Duke Ellington, Dizzy Gillespie, Charles Mingus, John Coltrane, e quanti altri, associati a tutta quella congerie di innovazioni e linguaggi che, a partire (almeno) dalla nascita del jazz rock, ci ha condotto fino all'odierna post-modernità (oppure no). Lo affiancano il trombone - dal suono classico, un vero e proprio spettro sonoro - di Mauro Ottolini, in un brano impegnato anche alle launeddas (le "cornamuse" sarde), che suona come un redivivo Yousef Lateef; la chitarra elettrica di Roberto Cecchetto, sofisticatissimo e al contempo neilyounghiano nel fluttuare sornionamente sul tempo e le sue cesure; il contrabbasso plastico e sontuoso del sempre impeccabile Paolino Dalla Porta, quasi sciamanico nell'evocare i tamburi della tradizione wolof in "Mr. D.P. Introduces Dundun"; e la frenetica energia delle bacchette di Antonio Fusco alla batteria, unita alla profondità africana delle sue percussioni. Un jazz moderno, nel senso di attuale, che meritoriamente oltrepassa (magari di poco) il conosciuto solco del mainstream, perché riesce a non impantanarsi nella "polta" della vana e prevedibile ripetizione di gesti e stilemi, grazie alla freschezza della musica e all'autentica vitalità di un assieme, che con agile scioltezza si produce in funamboliche e avvincenti acrobazie sulla pulsazione e la storia. Da ascoltare. (Marco Maiocco)

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