Musica italiana

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IOSONOUNCANE & PAOLO ANGELI - JALITAH

L'album JALITAH riunisce due delle voci più autorevoli della Sardegna contemporanea. JALITAH è il nome di un arcipelago situato nel canale sardo-tusino e rappresenta pienamente la forma dell'album, nel quale le canzoni riemergono dal flusso di improvvisazioni libere, risalendo profondità spesso abissali. Il duo ridisegna le mappe della musica italiana, annullando i confini tra avanguardia e forma canzone, realizzando un disco in cui la sperimentazione dialoga 'vis a vis' con la solennità lirica di alcune delle composizioni più conosciute di Incani. L'universo cangiante della chitarra sarda preparata di Angeli entra in collisione con il monolite multicolore di Iosonouncane. Il disco è stato registrato dal vivo nel tour intrapreso assieme nel marzo del 2018. Entrambi gli artisti nell'ultimo periodo hanno visto i loro rispettivi album raggiungere consensi di pubblico e di critica. Dal caso discografico di "IRA" nel 2021 (l'ultimo album di Iosonouncane) a quello della candidatura al Grammy per "RADE" (ultima fatica di Paolo Angeli).

In uscita il 23 giugno, cd a 17.30€, lp 33.90€

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DIVAE PROJECT - PROG WILL NEVER DIE

PROG WILL NEVER DIE, Manifesto di una Musica Senza Confini e Fuori dal Tempo. Featuring Vittorio e Gianni Nocenzi BMS

• I sei brani esplorano i codici sonori nati alla fine degli anni 60. Sei storie capaci di connettere prog, hard-rock, psichedelia, jazz-rock, tango, musica classica, strumenti acustici ed elettrici, suoni vintage e moderni, melodia e ritmi mai statici.
• Il progetto nasce dall'unione tra il critico musicale Guido Bellachioma e il polistrumentista e compositore Davide Pistoni: insieme hanno sviluppato le idee per proporre composizioni che miscelino musiche di confine senza troppi paraocchi. Al progetto Divae Project partecipano alcuni dei migliori musicisti italiani, oltre a ospiti di livello assoluto come i fratelli Nocenzi (Banco del Mutuo Soccorso).
• L'album omaggia, in chiave originale con arrangiamenti curati ma spontanei al tempo stesso, il Banco del Mutuo Soccorso, una delle icone assolute del rock degli anni 70. Lo fa con tre brani piuttosto diversi tra loro: "La città sottile" firmata da Gianni Nocenzi, "750.000 anni fa...l'amore?" scritta da Vittorio Nocenzi e "Bambino", una canzone dimenticata, attualissima, struggente e poeticamente rabbiosa nella dura denuncia contro la guerra, incentrata sulle vittime dei bombardamenti a Sarajevo. La musica è di Vittorio Nocenzi e i testi sono dell'indimenticabile Francesco Di Giacomo, ulteriore testimonianza dell'evoluzione stilistica di questo grande "suonatore di parole", sia come interprete vocale che come scrittore.

RELEASE DATE 23 Giugno 2023, VINILE 180 gr a 36.90€

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MOTUS LEAVUS - Sifr

I Motus Leavus si confermano amanti dei segni: per il debutto scelsero la Y come emblema dell’incognita (e della novità) mentre il nuovo disco cita la parola d’origine araba Sifr, ovvero lo zero, il nulla o il vuoto, come il silenzio che dà respiro alle partiture... Nella raffinata copertina ne vediamo il simbolo grafico, la semplice figura di un cerchio. Il trio genovese, di recente formazione ma già ben rodato, è composto da Tina Omerzo, che suona piano, tastiere e canta, da Edmondo Romano, con il suo bagaglio di  fiati etnici e ‘’normali’’ e da Luca Falomi che porta  chitarre acustiche, elettriche e oud. Si aggiungono in questa occasione il contrabbasso di Alessandro Turchet e la preziosa varietà percussiva di Max Trabucco. L’affascinante scaletta di Sifr si muove all’interno di sonorità piuttosto elastiche, con influenze che vanno dalla world music al jazz più strutturato, con i tre musicisti che stanno ben lontani dallo sterile virtuosismo, crescendo in coesione anche rispetto al notevole debutto di tre anni fa. Le canzoni danno equilibrio al repertorio e provengono tutte dall’area balcanica, come la popolarissima Jovano Jovanke; tutte sono cantate da Tina Omerzo, genovese ma originaria della Slovenia, che firma anche l’originale Misel Vode. Tra gli strumentali emergono la delicata Kukuk Kus, di Romano e la riflessiva La tredicesima ora, di Falomi. Nelle note di copertina troviamo la produzione di qualità a cura di Pivio & Aldo De Scalzi, la maestria alle manopole di Stefano Amerio, il tutto per un disco curato in ogni aspetto: ideazione, esecuzione, suono e grafica. (Fausto Meirana)

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Ana​ï​s - The Belle of Amherst

Ci sono dischi che vanno assaporati con lentezza, perché la fretta radiante di questi tempi in cui pochi secondi di un orecchio distratto e irretito dalle false sirene di un “hook” melodico è davvero cattiva consigliera. Se poi il disco in questione è un’altra tappa di un percorso che va avanti da tempo, elaborazione progressiva di un nucleo consistente di verità poetica, bisogna andarci ancora più cauti, e predisporsi all'ascolto con tutta la calma che dovremmo avere, in un angolo riservato della mente, per ascolti veri. La premessa per dire che The Belle of Amherstdi Anaïs non è un fulmine improvviso, non si consuma come merce degradabile all’ascolto, un primo entusiasmo, magari, e poi l'indifferenza. È un disco da ascoltare e riascoltate, perché il fascino sottile ci avvolge in una trina di arpeggi, tintinnii, gentilezze ospitali che celano uno spessore ragguardevole. Al fondo ci sono le liriche imprendibili e sempre dolcemente perturbanti di Emily Dickinson, la poetessa che fece dei propri fremiti interiori e di tutte le efflorescenze vitali che ci consolano una disamina così precisa e attenta da sembrare un'autoanalisi del mondo, del sé e delle possibilità che abbiamo noi umani di provare emozioni, quando evitiamo l'indifferenza beota verso noi stessi. Che tutto questo ci ritorni da una voce fatata, quella di Francesca Pongiluppi (o Vera Vittoria Rossa) appoggiata su una trina di arpeggi, su piccole luminescenze melodiche che sembrano, per paradosso, nate assieme alle parole di una donna vissuta nel cuore dell'Ottocento è qualcosa di quasi stupefacente. Un piccolo miracolo di quell'indie folk rock che non ha maschere, non ha verità urlate, non rimpannuccia il niente con il nulla: qui è tutta sostanza. Poetica. (Guido Festinese)

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L’esperimento del Dr. K – Un cerchio rosso sangue

Secondo capitolo della saga del gruppo ligure, dedito ad un ottimo punk, oscuro e gotico, con dodici nuovi brani: tutti belli tirati e terrosi nel sound. Questo nuovo lavoro del quartetto genovese è molto più cupo e cattivo del predecessore, sostenuto da una sezione ritmica tellurica, da una voce possente e da una chitarra affilata quanto metallica. L'ispirazione è, ancora una volta, cinematografica: molti gli omaggi – a partire dalla bellissima title-track, intitolata al nome della band, come noto la prima versione de La Mosca, con Vincent Price – alla fantascienza anni Cinquanta ed ai B-Movies horror dei tempi andati (Rosso sangue, su tutti), come evidenziato, inoltre, dagli azzeccatissimi inserti ed intermezzi tra alcuni brani. Uno dei migliori in assoluto è l'omaggio a Poe di Berenice, ma anche le altre canzoni non sono certo da meno: si ascoltino 47, Adesso devo ucciderti, Il cerchio rosso, Loro lo sanno e Zombi. Occhi bianchi sul pianeta Terra è, chiaramente, un altro riuscitissimo omaggio al film di Boris Sagal, con Charlton Heston, del 1971 (uno dei vari adattamenti di Io sono leggenda, di Richard Matheson). Questo CD ci offre venti minuti, freschi ed evocativi, essenziali e suggestivi, di eccellente dark punk alla Misfits, graffiante e contagioso per melodia e potenza. Secondo chi scrive, il gruppo è pronto per un concept a tema SCI-FI orrorifico. Intanto, bentornati ed assolutamente da seguire, anche dal vivo, per la carica che sprigionano: rock eterno che non muore mai.
Davide Arecco

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Nello sfibrato mondo della canzone d'autore italiana contemporanea, dove imperversa gente che non ha niente da dire, e non lo dice con una montagna di parole, spesso con rime precarie, e per nostra fortuna annegate nell'orrore alieno dell'autotune, figure come i musicisti – autori della torinese Stanzadigreta sono perle rare. Le perle, notoriamente, nascono da un'irritazione delle valve del mollusco: sono legittima reazione all'intrusione di un soggetto estraneo. Se è così il dato biologico, adattato a quello culturale della canzone i conti tornano. Le canzoni della Stanzadigreta sono tutte perle splendenti, tutte legittime reazioni dell'intelligenza e della musicalità irritate nei confronti di un mondo assediato, per dirla con Max Manfredi, dall' “ignoranza fatta scaltra”, da gente che non distingue una chitarra da una padella, mestatori della parola che hanno il vocabolario di base e la capacità di articolazione di un traduttore automatico con le pile scariche. Avevano pronto questi secondo disco meravigliosamente palpitante e infittito di suoni di quella che loro definiscono “musica bambina” (un po' come la Penguin Cafe orchestra che fu, ma con un quid di divertimento in più) da tanto tempo, poi è arrivato il Covid. A un certo punto si sono legittimamente stufati, e lo hanno fatto uscire. Se avete nostalgia di canzoni che al primo ascolto incuriosiscono, al secondo cominciano a scavarsi una nicchia nel cervello, al terzo vi fanno venire voglia di uscire per strada e attaccare i testi ai muri, sperando che qualcuno si metta a riflettere smettendo di guardare compulsivamente il cellulare, e magari si metta anche a studiare uno strumento, Lastanzadigreta fa per voi. Sono creature selvagge e dolcissime, parlano di “grammatica della fantasia” rodariana e di macchine inutili, declamano le sigle che ci affliggono e complicano la vita pretendendo di semplificarcela (Spid), aprono porte e finestre dove gli altri vedono muri pieni e ottusi. Quanta bellezza. (Guido Festinese)

 

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