Musica italiana
Risulta difficile credere che Rumors sia solo il terzo disco solista di Paolo Spaccamonti, considerate quantità e costanza delle collaborazioni inanellate da Buone notizie (2011) in giù, che siano gli split con Stefano Pilia o Daniele Brusaschetto, le collaborazioni con artisti come Ben Chasny, i Masbedo o l'esordio del progetto Spaccamombu. Ma il nuovo lavoro, nel capitalizzare queste esperienze, trova altresì la molla per scavalcarle in quella che è l'opera più complessa e al contempo personale del chitarrista torinese: "non è facile per me spiegare questo disco, credo abbia a che fare con l'assenza e la disperazione, la malattia e il dubbio. Come la tenacia con cui a volte ci si alza dal letto per scansare la pazzia. Tutto il resto è brusio di fondo, chiacchiericcio, rumors...", riassume con un rimando al titolo del disco. Come del primo brano in scaletta peraltro, pezzo che muove da un pianoforte fino ad arrivare a orchestrazioni shoegaze e fra i più significativi del lotto, insieme alla liquidità del crescendo di Dead Set o la lenta destrutturazione elettronica del proprio suono di Fango. Il disco, che ospita tra gli altri Julia Kent e Bruno Dorella, è stato prodotto al Superbudda di Torino da Gup Alcaro e masterizzato al Basement di Roma da Teho Teardo.
CD in vendita da Disco Club a partire da mercoledì 22 aprile al prezzo di 11,90 €
“Perché ogni passaporto ha una ferita / ed è servito per parare un colpo / che era vibrato al cuore oppure al volto / e ha sfregiato la foto della vita”. Diciamoci la verità, quanti “cantautori”, in Italia, sanno scrivere una frase come questa? Il conteggio forse potrebbe assestarsi sulle dita di una mano. Ne trovate a decine, in Dremong, ultimo lavoro di Max Manfredi. Presentato da una magnifica copertina dipinta da Ugo Nespolo, e con uno scintillio di ospiti dal parterre strumentale genovese quasi esaustivo. Ad esempio: Marco Spiccio, Federico Bagnasco, Roberto Piga, Edmondo Romano, Filippo Gambetta. In più, questa volta, ci sono i tocchi delicatamente “vintage” e prog delle tastiere della grande Elisa Montaldo, che evocano tempi di moog monofonici e arabeschi d'arpeggi. Ma Max Manfredi scrive canzoni asciutte e perfette, ormai, organismi talmente strutturati, pur nella vertigine di una fantasia da scrittore vero, che stanno in piedi comunque le ascoltiate. Che raccontano di orizzonti geografici immaginari, di amori lucenti o stropicciati, di pietre cittadine e profumi nel vento. Lasciarle in sottofondo è possibile, dunque, ma è quasi un peccato mortale. Per una volta che la sostanza è vera e nutriente, bene assaporare con tutta la calma del caso. (Guido Festinese)
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