Musica italiana
Ecco un sestetto che, concerto dopo concerto, sudata dopo sudata (ma con allegria, sempre) rinnova le sorti di un folk revival e progressivo sempre a caccia di nuova linfa. Gli anni passano, sembra che tutto sia stato già fatto e messo in pratica, ma l’energia trascinante di una buona esibizione o incisione in cui voci e strumenti diano l’impressione del “wall of sound”, del muro di suono in folk è sempre un miracolo che si rinnova. Loro sono nati dal nucleo dei Pog Ma Hom, ed hanno amori incrociati e ben meditati per la musica gaelica, occitana, francese, basca, galiziana, bluegrass, swing, e quant'altro vorrete mettere in conto: con un denominatore comune, l'essere piemontesi, dunque di una terra di transito e di ricordi ben conservati che aiuta. Hanno in formazione chitarre e bouzouki, banjo e cornamuse, ghironde e fisarmoniche, hammond e batteria, violino e whistle: un gran bel attizzatoio di emozioni e di possibilità. Qui troverete roventi reel elettrici e scottish, polke e mazurke dirupate, canzoni e valzer. Vale il collante della precisione e dell’entusiasmo, ed alla fine l’effetto è, mutatis mutandis, simile a quello di certe giubilanti avventure dei Blowzabella, o del miglior folk elettrico in genere di marca british. Seguiteli. (Guido Festinese)
“Uso un mio linguaggio con lucidità / non mi nascondo dietro al patois/ esprimo concetti chiari e comprensibili / amo la mia lingua la sua bellezza/ se un concetto mi sta a cuore cerco di esprimerlo con massima chiarezza / in Italia /spesso ci si maschera con false icone paramenti e paraventi mistici”. Chiaro, no? E se provate a seguirlo tutto, il testo (si intitola Riflessioni, seconda traccia), troverete anche assoluta rivendicazione di laicità, nessuna devozione alle sacre trimurti del “reggae de noantri”, ovvero improbabili Leoni imperatori, culto della cannabis, l' idolatria per la Giamaica, considerata sì culla della musica “scintilla”, come dicono loro, ma solo quello: inizio di un incendio in levare che ognuno al mondo si interpreta come vuole. Tornano gli Africa Unite, dopo tanti anni di silenzio discografico, e tornano con un disco limpido e durissimo, spietatamente lucido nei testi, compatto nella musica. Liberamente scaricabile dalla Rete, peraltro. Ospiti Raphael e More no Limiz. E gli amici degli Architorti, con le corde classiche ( Madaski al pianoforte) intervengono da par loro: con raffinata sensibilità, tanto per dire che il reggae, come il jazz e come il rock, può ospitare note di tutte le famiglie. Bastano cuore e cervello. (Guido Festinese)
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