La musica, notoriamente, è arte asemantica. Di per sé non significa nulla, se non una “decorazione del tempo”, come diceva sua Maestà Beffarda Frank Zappa. Siamo noi che investiamo i flussi di note di significati. Per fortuna. Perché con un disco degli Gnu Quartet c’è da far lavorare la fantasia. Che deve mettere in conto di crearsi altrettanti film mentali ben stipati di emozioni quanti sono i brani di volta in volta presentati. Lo sappiamo, anni e anni di presenza sui palchi, soprattutto, e in studio spesso a fianco di artisti eterogenei che più eterogenei non si potrebbe (senza snobismo, pressoché da ogni mondo musicale) hanno reso questo quartetto con archi e flauto uno splendido, sapiente, leggerissimo minotauro della musica che si aggira felice per un labirinto di stili. Bello allora che qui, in questo disco che inizia con un brano costruito su un’incalzante quartina di note che avrebbe fatto la gioia di Bacalov e dei New Trolls dei Concerti Grossi non ci siano neppure i titoli: solo il termine “idea” seguito da un numero. E che sulla quarta traccia, Idea 8, faccia una comparsata Giuliano Sangiorgi al piano: un bel modo per suggerire: “uno a rappresentare tutti”. (Guido Festinese)