Leggere tra i titoli di un disco “Bella Ciao” e “Creuza de Ma” può ingenerare una certa apprensione: troppi misfatti sono stati perpetrati nel nome dell’inno partigiano e di Fabrizio De André. Invece al ligure di nascita e giramondo per necessità (o forse anche inclinazione, a giudicare dalla quantità di luoghi eletti a dimora e ispirazione, dalla Scozia al Brasile, dal Canada alla Francia) riesce una rilettura coerente e autentica (per “Bella Ciao” si tratta in realtà di una traduzione in inglese. che non dispiacerebbe a Billy Bragg). Gli altri brani, tutti originali, fanno emergere una capacità cantautorale fuori dal comune, senza finte tristezze e compiacimenti; ma Bonifacio è anche un chitarrista versatile (le citazioni jazz di “Pigalle”, due brani strumentali eterei e celesti come “Archways 45” e “46”) e virtuoso (senza mai scadere nel tecnicismo fine a se stesso) oltre che un ottimo assemblatore di musicisti come dimostrano i dodici compagni di strada coinvolti. E per finire un’incisione equilibrata e limpida per un esordio davvero convincente. (Danilo Di Termini)