Ogni occasione è buona per parlare di Ornette Coleman, anche l’uscita di un doppio cd che in fondo non aggiunge molto alla sua vicenda. All’epoca il sassofonista di Fort Worth è ritornato dopo una lunga pausa, circa tre anni, dal 1962 al 1965, in cui non ha pubblicato dischi, né suonato dal vivo, ma in cui ha continuato ad esercitarsi, imparando a suonare la tromba e violino. Il suo arrivo sulla scena nel 1958 è stato deflagrante, con otto album all’attivo che lo hanno consacrato come uno dei più radicali innovatori del jazz, ma che non sono stati sufficienti a garantirgli sicurezza economica e tantomeno il riconoscimento del grande pubblico e di molta critica. Ha inciso una colonna sonora, “Chappaqua suite”, che però non sarà utilizzata dal regista che gli preferirà quella di Ravi Shankar, ha riformato il suo trio con il quale si esibisce dall’ottobre del 1961, ed ha ripreso a proporre la sua concezione musicale, originalissima, in cui convivono il rhthym and blues e il free, le origini e il futuro, in un viluppo inesplicabile e che forse nessuno è mai riuscito a replicare. Si esibisce molto in Europa: da lì provengono i due live del Golden Circle di Stoccolma pubblicati dalla Blue Note, alcuni bootleg e questa registrazione radiofonica (piuttosto approssimativa a dire il vero) del 14 maggio 1966 durante un breve tour inglese. Ovviamente non è certo questo il disco con cui avvicinarsi all’opera di Coleman (un consiglio: il cofanetto Atlantic “Beauty is rarething” si trova ormai a un prezzo irrisorio; non lasciatevelo scappare); semmai l’ora e mezza di musica proposta, in un doppio cd, conferma ancora una volta l’integrità un musicista che non ha mai abdicato alle sue idee e che rappresenta un vero e proprio ‘unicum’, pressoché inimitabile nella storia di questa musica. Il voto finale è la media tra la qualità musicale – altissima – e quella della registrazione, davvero al limite. (Danilo Di Termini)